Il grande fratello cinese

30 Aprile 2013 di Tani Rexho

Primavera 1990. Facoltà di Economia dell’Università di Tirana. Fa caldo e la sala numero 2 è piena di studenti dell’ultimo anno. La nuova classe dirigente del socialismo. Non siamo lì per una lezione, però. Ci hanno invitato perché il Segretario del Comitato Centrale della Gioventù Albanese vuole discutere cose importantissime con chi l’ìndomani andrà a portare la sua sapienza tra le fila della classe operaia. Mikhail Sergeyevich Gorbachev sta applicando la perestroika e la glasnost all’Unione Sovietica. Ramiz Alia sta silenziosamente muovendo i fili per fare lo stesso in Albania. E quest’assemblea è uno dei primi passi. A chi meglio che ai nuovi laureati in Economia si può spiegare la necessità di muovere le acque stagne e puzzolenti dell’economia del paese più povero d’Europa?

La compagna Segretaria comincia a parlare, e va avanti per circa 30 minuti. Un tono noioso, vecchio, nonostante sia sulla trentina. Mentre lei “spiega” cose sentite mille volte, alziamo la mano e chiediamo il permesso di parlare. Sì, eravamo rompicoglioni anche a ventidue anni. “Scusi se la interrompo. Lei ci sta dicendo delle cose molto interessanti, nuove e in linea con lo spirito rivoluzionario del partito. Ma lei lo sa? Il partito lo sa che qui, alla Città degli Studenti sono sei mesi che mangiamo due volte al giorno “burani verore” (un mix di riso e peperoni, ndr)? Sei mesi lo stesso cibo pranzo e cena?!”. Il boato dei circa duecento studenti in sala forza anche la Segretaria a ridere e a cercare di convincerci che il Partito ha sempre gli studenti nel cuore; che loro sono il sangue fresco del partito; che al partito piace lo spirito di costruzione positiva (solo 5-6 anni prima non avremmo avuto il coraggio di far notare al partito le nostre condizioni…), eccetera. Ma la sua “missione” è fallita li. Con quelle risate amare degli studenti. Amare perché nel 1990 l’Albania è in mezzo a una crisi economica spaventosa, che solo il silenzio totale del regime è riuscito a tenere sotto controllo. Una crisi che nel 1991 costringerà Ylli Bufi (il Primo Ministro di allora) a dichiarare “Abbiamo riserve di grano per solo sei giorni”.

Il regime di Hoxha aveva ereditato un paese uscito dalla Seconda Guerra Mondiale a pezzi. Già povero di suo prima della Guerra, né uscì poverissimo dopo. Il 90% della popolazione quasi analfabeta. Maggioranza contadina con un’industria quasi inesistente. Il costo della vita cresciuto di 30 volte, se paragonato al 1939. Come tutti i governi comunisti della storia, anche il governo di Hoxha contò molto sullo spirito della gente. Abituata ad essere povera, ma con la speranza di avere il destino nelle proprie mani, la maggioranza appoggiò incondizionatamente la politica economica comunista. Nonostante qualche resistenza interna da parte di elementi di formazione liberale (puntualmente eliminata), il governo cominciò con il sequestro di tutti i beni dei ricchi e dei commercianti grandi e piccoli. Eliminò tutti gli artigiani costringendoli a creare aziende statali e lavorare per uno stipendio prestabilito. Ma, essendo l’Albania un paese dalla popolazione prevalentemente contadina, la vera rivoluzione fu promessa ai contadini. Sotto lo slogan “La terra appartiene a chi la lavora” il regime sequestrò tutti i terreni dei latifondisti, della chiesa a dei contadini ricchi per distribuirli ai contadini poveri. I comunisti al potere avevano mantenuto le loro promesse. Finalmente, chi aveva visto sé stesso lavorare sempre la terra altrui, adesso poteva lavorare la sua terra. Bellissimo, no? Purtroppo il comunismo pratico è sempre diverso da quello teorico.

Nei regimi totalitari il secondo ordine annulla sempre il primo, senza discussioni. Pochi mesi di gloria e nel 1946 esce l’idea del piano economico centralizzato: l’agricoltura non poteva restare fuori. “Riprendiamo i terreni e facciamo le cooperative agricole”. Solo che questa volta, la riforma agraria costrinse a “regalare” i terreni e i capi di bestiame alla cooperativa, anche contadini di parte del paese (soprattutto al Sud) dove la gente non era ricca e non aveva accumulato terreni agricoli e capi di bestiame sfruttando il lavoro altrui, ma possedeva terreni, viti, ulivi e bestiame ereditati da generazioni o comprati  con soldi fatti dopo anni di sacrifici in emigrazione. Ai contadini si lasciava solo qualche pezzo piccolo di terreno dove produrre un po’ di ortaggi per consumo familiare, e limitati capi di bestiame per carne o il latte. Nel frattempo, usufruendo degli aiuti di Stalin, anche l’industria cominciò a svilupparsi, creando cosi le condizioni per una vita decente della classe operaia. Nel 1960 finì la politica del razionamento di certi generi alimentari. Nel 1967 si completò la collettivizzazione totale dell’agricoltura.

Il successo più significativo del regime di Hoxha, però, furono le opere pubbliche. Costruzione di centrali idroelettriche, ferrovie, strade. Nel 1968 si completò l’elettrificazione del paese. Per la costruzione di queste opere fu vitale il lavoro volontario dei giovani e dell’esercito. Seppur con difficoltà e problemi legati alla centralizzazione, il sistema economico albanese cominciava  ad avere le sembianze di un sistema serio. Dopo anni di conflitti ideologici e politici con Kruscev prima e Breznev dopo, l’intervento sovietico in Cecoslovacchia nel 1968 segna anche l’uscita dell’Albania dal Patto di Varsavia e l’interruzione di qualsiasi altra relazione con i paesi del Blocco dell’Est. Questo creerà problemi soprattutto all’industria visto che tutti i macchinari sono di produzione sovietica o in ogni caso di altri ex-amici comunisti.

Ma Hoxha trova un altro alleato nella Cina del Comandante Mao. Il grande fratello asiatico prende sottobraccio il “leone comunista d’Europa” e con i suoi aiuti garantisce il funzionamento dell’industria. La tecnologia non è all’avanguardia, ma è pur sempre vitale per dare continuità alla funzione dell’industria del paese. Nonostante il territorio albanese sia ricco in minerali e materie prime e il clima permetta di coltivare quasi tutto, l’arretramento dei macchinari è evidente e il rendimento di produzione ne risente notevolmente. Le aziende albanesi producono prevalentemente prodotti per consumo interno. I pochi prodotti esportati sono quelli agricoli e minerali, ma comunque la bilancia import/export pende pesantemente a favore del primo. Senza quello, l’economia albanese soffre e non potrebbe funzionare. Il deficit commerciale con la Cina è notevole (Hoxha era arrivato prima degli europei e degli americani…), ma tra fratelli ci si aiuta sempre, no? No. Non quando il fratello maggiore decide, dopo la morte di Mao di “normalizzare” i rapporti con il male: l’imperialismo americano. Chi sono loro per decidere di tradire la via marxista-leninista e fare “pace” con il nemico? Che cos’è questa teoria revisionista dei “Tre Mondi”? La Cina vuole diventare come i socialimperialisti sovietici e gli imperialisti americani? Affanculo loro, così come prima di loro jugoslavi e sovietici!

Arriva il 1978 (strana coincidenza che tutte le rotture di Hoxha avvengano in un anno che finisce con otto. Lui è nato nel 1908). Enver Hoxha, con un colpo di genio, che solo ai dittatori paranoici riesce cosi bene, decide di isolarsi da tutti e da tutto. Nasce il principio definito “Contiamo solo sulle nostre forze”. Si decide di non chiedere elemosine all’estero. Niente richiesta di crediti o aiuti di qualsiasi tipo. “Mangeremo l’erba, ma non tenderemo la mano al nemico” tuona Hoxha dal palco del Congresso del Partito. L’interruzione dei rapporti con la Cina segnerà l’inizio della fine di un’economia mai sufficiente nemmeno con gli aiuti dall’estero, figurarsi senza quelli. La produttività calerà costantemente, data l’arretratezza di macchinari e l’impossibilità di sostituirli con macchinari nuovi. Molti prodotti diventano difficili da trovare, se non impossibili. Quello che produce l’industria albanese è assolutamente insufficiente per soddisfare tutti i bisogni della popolazione. Per rendere meglio l’idea, qualche esempio può aiutare a capire in quale stato si trovasse “l’eroico” popolo Albanese: una normale TV costava 40 mila lek, lo stipendio di un operaio in 8-10 mesi. Ma non potevi comunque comprarla, se non avevi un’autorizzazione speciale che ti dava l’azienda per la quale lavoravi. E di queste autorizzazioni ne arrivavano 4-5 l’anno in un’azienda di 100 operai. Stesso discorso con i frigoriferi, i mobili o altri prodotti di arredamento. Non solo la fila di mesi per procurarseli, ma soprattutto un prezzo altissimo se comparato agli stipendi. Unici prodotti ancora reperibili abbastanza facilmente: cibo e abbigliamento. Anche se durante l’estate a scuola su 40 ragazzi in 35 vestivano lo stesso modello e colore di camicia… L’agricoltura centralizzata non riusciva a coprire il totale fabbisogno della popolazione, ma ai contadini era permesso di vendere i loro prodotti in città, creando cosi la possibilità ai cittadini di fornirsi di generi alimentari non trovabili nei negozi, e ai contadini di procurare il denaro necessario per comprare prodotti di consumo che altrimenti non si sarebbero potuto permettere con i loro salari da fame percepiti dalla cooperativa.

Il socialismo reale di Hoxha, che andava fiero di governare quello che diceva essere rimasto “l’unico paese socialista del mondo”, però non aveva ancora finito di stupire. Il popolo non era ancora stato messo a dura prova. Quella vera, quella che ammazzerà per sempre l’economia Albanese arriva verso la fine degli anni Settanta. Il Partito pensò che ai contadini fosse concessa troppa libera iniziativa. Cosi si rischiava di creare una nuova classe di “kulaks”. E allora giù con un’altra prima mondiale di cui andare fieri. Togliamo ai contadini tutto quello che hanno di privato: niente orto, niente galline per fare l’uova, niente pecore, vacche o capre per produrre quell’extra chilo di latte da vendere al mercato. Niente di tutto ciò. Doveva bastare lo stipendio da membro della cooperativa. E se quello non era sufficiente per riempire il tavolo, bastava aggiungere 800 grami di amore per il Compagno Enver, e un paio di chili di odio per il nemico, e la cena era servita. Andavamo pure fieri di tale “genialata”…

Il risultato di questa pazzia fu una catastrofe. Il paese tornò indietro al 1950, quando tutto era razionato. 12 uova al mese per famiglia. 1 chilo di carne, mezzo litro di olio d’oliva, mezzo chilo di zucchero. Il caffè? Articoli su “Zeri I Popullit” (La Voce del popolo), organo ufficiale del partito, ci fanno sapere che fa male alla salute. Il cibo scarseggia sempre di più. Ricordiamo file interminabili alle quattro del mattino per comprare il litro di latte che serviva ad allattare la sorella piccola. Per un quartiere di circa quattrocento famiglie arrivavano 50-60 litri di latte. Uno per famiglia. Chi arrivava prima bene. Chi no si sente dire: “Svegliati alle due del mattino il giorno dopo, pigro dormiglione!”. Ricordiamo l’imbarazzo provato di fronte ad amici d’infanzia e vicini di pianerottolo, quando con la testa abbassata dalla vergogna  bussavano alla porta e chiedevano a nostra madre se avevamo “due cucchiai di zucchero” e quattro fette di pane. O se potevamo prestargli 200 lek fino alla fine della settimana. E la mattina dopo andavamo a scuola insieme come se niente fosse successo la sera prima. Ricordiamo anche il nostro stupore quando il cugino venuto dagli Stati Uniti chiese a nostra madre: “Zia mi puoi friggere delle uova per colazione?” ” Delle uova? Uovo volevi dire?”. “No zia, no, uova. Che ci faccio con uno?”. “E quante ne vuoi? Te ne faccio due?”. ” Una dozzina, zia!” E nostra madre che quasi sviene…

Nonostante i proclami trionfali della propaganda ufficiale circa la realizzazione del piano della raccolta del grano o delle patate, gli scaffali dei negozi sono sempre più vuoti. La gente fa finta di lavorare, il governo fa finta di pagare. Molti dirigenti di aziende statali o cooperative agricole falsificano i dati di produzione, impauriti dal fatto che se il partito nel suo congresso aveva deciso che tu, azienda X, dovevi produrre dieci, e tu riportavi otto, i dirigenti responsabili erano accusati nella migliore delle ipotesi di incapacità e mandati via, ma si poteva anche rischiare il linciaggio per aver sabotato la politica del partito.

Nel suo libro di memorie Ramiz Alia, il successore di Hoxha, scrive: “L’interruzione dei rapporti con la Cina fu tragica, soprattutto per noi. Da quel momento in poi l’economia passò anni in una fase stagnante, per poi sfociare in una crisi gravissima a metà anni Ottanta, ed arrivare al collasso dell’inizio dei Novanta”. Siamo convinti che con Hoxha ancora al potere e con il Muro di Berlino al suo posto per altri cinque anni, gli albanesi sarebbero morti di fame come i nordcoreani negli stessi anni. Era questa l’Albania che molti oggi rimpiangono, vittime di un’illusione durata sei mesi e di una banda di criminali mafiosi, ai quali forse dedicheremo un’altra cartolina. (fine quarta puntata, continua).

Tani Rexho, in esclusiva per Indiscreto

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