Calcio
Cento giorni da Leonardo e uno da pecora
Stefano Olivari 31/08/2009
Uno che si presenta bene, un vero uomo di Galliani che per una volta non dispiace al patron, un amico dei giocatori, uno di cui giornalisti ed opinionisti non parlano male perché è stato loro collega (e anche qualcosa di più) fino a pochi mesi fa: Leonardo siede sulla panchina del Milan per questi quattro motivi, il che non esclude che fra qualche anno possa rivelarsi un buon allenatore per il dispiacere dei cultori del patentino e della gavetta (nel suo caso comunque più silenziosi del solito, dallo schietto Ulivieri in giù). Al momento è solo una bella faccia, a cui è stata consegnata una squadra che in campionato ha come obbiettivo massimo il terzo posto e che deve navigare a vista salvando gli equilibri interni a costo di scelte vili: far uscire il Borriello non protetto invece del Ronaldinho da tavolino (con penosa smentita al Corsera) rientra in questo filone. Il problema del Milan non è ovviamente lui, anche se il Fabio Capello dei tempi delle giovanili avrebbe trattato Seedorf (e si sarebbe fatto trattare da Gattuso) in maniera molto diversa. Come i riferitori professionisti riferiscono (l’ultimissima è che non piace l’atteggiamento di Jankulovski: i colpevoli sono sempre di primo piano…), Berlusconi è intenzionato a prendere tempo fino a Natale per valutare l’ipotesi di cessione della società: in nessun caso al Nardi arabo, di sicuro ad un italiano di stretta osservanza. Fino ad allora Leonardo avrò cento giorni di navigazione tranquilla, ma va detto che non aveva torto quando si era adoperato per la permanenza di Ancelotti al Milan fino ad un secondo prima del comunicato del Chelsea: si sarebbe visto un Milan migliore e soprattutto lui avrebbe iniziato la nuova carriera in un contesto più facile.