Azzardo solo per chi lo vuole

5 Settembre 2010 di Stefano Olivari

di Luca Giovagnoli
I lettori abituali di Indiscreto avranno notato la lunga discussione sviluppatasi di recente nel post ‘Uomini di Poulsen’ a proposito di poker e azzardo. Vorremmo però separare il poker dalla categoria dell’azzardo, per semplice amore del gioco e della sua profondità. Non intendiamo attribuirgli una nobiltà che non ha e siamo consapevoli del fatto che qualsiasi distinzione suonerà inutile a chi pensa che scommettere soldi sia sempre insano. Questo articolo è quindi rivolto a chi ha nelle vene almeno un po’ di sangue da giocatore, senza analizzare le sfumature di ogni parola.
Per la legge italiana il poker sta fra gli skill games e fuori da quelli d’azzardo. Giochi d’abilità, dunque. Ma quanta abilità? E di conseguenza, quanta aleatorietà? Difficile da dire. Allenarsi dieci anni quattro volte alla settimana non assicura nemmeno la serie B, non per questo mi sentirei di dire che l’abilità nel calcio non conta. Il Texas Hold’em è quella variante che si gioca con due carte, coperte, in mano, e cinque comuni e scoperte sul board. I punteggi vanno da carta alta a scala reale. Prima cosa importante: chiudere punti alti è solo una parte, nemmeno troppo importante, del bello del poker. Siamo d’accordo che, esclusi bari e veggenti, non siamo in grado di prevedere quali carte usciranno: la buona notizia è che non ne abbiamo bisogno.
Dunque, come si fa profitto a poker? Semplificando all’osso: stando dalla parte di chi sbaglia di meno. Tanto per cominciare, dobbiamo liberarci dall’idea che una singola mano esaurisca il suo significato in sé stessa. Esempio. Siamo seduti a un tavolo virtuale 6-handed, bui 25-50. Il giocatore UTG (under the gun, primo a parlare) fa call per 50, poi due fold fino a noi sul bottone. Spilliamo QQ e optiamo per un raise fino a 200. Fold dei bui e “ovvio” call di UTG.  Il flop è J 10 (picche) 4 (cuori). Check del nostro avversario, a noi la scelta. Abbiamo top pair ma il flop non è del tutto innocuo. Scegliamo una bet di 275 e riceviamo un call. Il turn è un 6 di fiori. Ancora un check, a cui facciamo seguire una bet per 675. Call. River: 4 (picche). Check – check. L’avversario gira AK a picche e porta a casa il piatto.
Agli occhi del profano, questa mano non rappresenta molto di più che un’estrazione casuale di carte, la cui combinazione premia infine l’uno piuttosto che l’altro. Se invece siamo giocatori di poker, la prima cosa a cui pensiamo è sedere allo stesso tavolo dell’uomo con AK tutte le volte che possiamo. Ad esempio: il modo passivo con cui ha giocato AK preflop probabimente significa che altre volte con questa mano si è scottato, di sicuro non ha capito l’errore. I call su flop e turn dicono che non sa fare di conto: matematicamente parlando, un progetto di colore ha 4,2:1 probabilità contrarie di chiudersi (meno del 20%). Bettando entrambe le volte più di mezzo pot abbiamo offerto pot odds inferiori a 3:1. Cosa significa? Che per due volte l’abbiamo portato a scommettere su quote sfavorevoli. Sono alcuni dei motivi per cui ci aspettiamo che nel lungo periodo questo sia un giocatore perdente.
Potrebbe sembrare un concetto teoricamente valido ma di difficile applicazione. Invece: pensiamo per un attimo al funzionamento di un casinò. Il suo profitto è basato su innumerevoli ripetizioni di scommesse su quote marginalmente favorevoli (il 53% sulla roulette rosso\nero, ad esempio), il cui risultato aggregato è necessariamente positivo, a prescindere dall’eventualità che il singolo giocatore vinca occasionalmente. Il profitto nel poker si ottiene in maniera analoga: ogni volta che ci sediamo al tavolo abbiamo l’opportunità di scommettere su quote favorevoli. Basta saperle riconoscere. Ovviamente, non è così semplice. Spesso le quote non sono evidenti, poiché si basano su ipotesi che sviluppiamo nel corso della mano, e che a volte possono essere scorrette. E’ però importante capire che sono necessarie e devono essere razionali anche quando basate su elementi difficilmente oggettivabili.
Consideriamo il bluff: nell’immaginario relativo al poker è forse il miglior sinonimo di azzardo. Nella realtà dei fatti, è solo una variazione del gioco, e richiede forse ancor più razionalità. In genere costruiamo un bluff su ipotesi riguardo la possibile mano dell’avversario, ma non è abbastanza. Lo eseguiamo solo se siamo in grado di stimare quanto spesso lascerà la mano. E’ perfettamente inutile bluffare se non siamo in grado di assegnare un range credibile o se abbiamo davanti il tipo di giocatore che non molla bottom pair. Viceversa, se un bluff s’infrange contro una mano improbabile, non necessariamente significa che fosse concettualmente sbagliato. Inoltre, è perfino utile venire scoperti qualche volta, ad un costo accettabile, perché aggiungere imprevedibilità al nostro gioco ha un valore assolutamente superiore.
Nel corso della discussione su quel post abbiamo scritto una cosa che suona forse contradditoria, ma che è fondamentale: il poker può essere (giocato come) azzardo. In genere, accade quando non ne rispettiamo le regole. Un esempio personale può essere utile. Da quando abbiamo scoperto il Texas online abbiamo quasi sempre giocato sit (o tornei) del valore di 5-10 euro. Occasionalmente anche cash, per cifre comparabili. Due o tre volte siamo invece finiti a giocare tornei live per 50 euro, un buy-in che online semplicemente ci saremmo rifiutati di considerare. Ma volevamo provare e quote d’ingresso inferiori praticamente non esistono. Da un punto di vista razionale e delle regole che ci siamo dati stavamo a tutti gli effetti giocando d’azzardo. L’incidenza della sorte nel singolo evento è qualcosa capace di annullare ogni differenza d’abilità. Abbiamo deciso di giocarli come avremmo fatto nei nostri tornei abituali e non siamo mai arrivati a premio. Stavamo trasgredendo una regola piuttosto sacra del buon pokerista: ciò che va sotto il nome di bankroll management. Giocare in bankroll, nel gergo, non è altro che sedersi al tavolo per una frazione non rilevante di ciò che abbiamo deciso di dedicare al poker. Serve a limitare l’impatto di ipotetiche serie sfortunate e giocare tranquillamente per cifre che possiamo permetterci. Non da ultimo, rispettando il bankroll siamo in grado di dare un senso molto più coerente e compiuto al concetto di lungo periodo: lo stesso spot non può avere un valore paragonabile se giocato su buy-in troppo diversi.
Obiezione: non esiste un modo sicuro per vincere a poker. E’ corretto. Esistono in compenso molti ottimi e certificabili modi di perdere velocemente, e per lo più ruotano alla convinzione che alla fine siano le carte a fare la differenza, come se fosse un gioco d’azzardo.
Luca Giovagnoli
(in esclusiva per Indiscreto)

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