Vite alla moviola

21 Novembre 2007 di Stefano Olivari

Lo sport senza televisione è sempre stato inimmaginabile, non solo in Italia, così come la televisione senza sport. Anche se nell’ultimo mezzo secolo il rapporto fra il mezzo ed uno dei suoi principali contenuti è cambiato in modo strutturale. Senza la compunzione del massmediologo, visto che non si tratta di un testo universitario ma di un saggio, e riducendo al minimo il ricatto affettivo della nostalgia, Pino Frisoli ha scritto (già da tempo, ma dei libri ci piace parlare solo dopo averli letti) un’opera più unica che rara, ‘La Tv per sport’ (Edizioni Tracce, 2007), che affronta gli intrecci italiani fra i due mondi dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Senza grandi retroscena ma pieno di notizie inedite o comunque dimenticate, con una prospettiva storica affascinante senza bisogno di dimostrare tesi inutili, ed una qualità che viene troppo spesso trascurata: quella della precisione dei riferimenti, vera rarità anche nelle opere di tromboni che si servono di stuoli di negri (quasi sempre studenti in cerca di sistemazione) per mandare in stampa un libro ogni tre mesi. Frisoli affronta il tema da giornalista, resistendo alla tentazione del macchiettismo e dando al tutto una scansione cronologica.
Si parte ovviamente dalla radio che nel 1928 con la cronaca di Bosisio-Jacovacci apre un mondo, si prosegue con i primi esperimenti televisivi dell’allora Eiar avvenuti prima della guerra (già nel 1939 pochi fortunati potevano assistere a regolari programmi televisivi) per arrivare a quelli della Rai, con inizio nel nel 1949: si può dire che nel febbraio del 1950 Juventus-Milan sia stato il primo incontro di calcio trasmesso in video ed in voce nel nostro paese. La data di nascita ufficiale dello sport televisivo italiano è uguale a quella della televisione: 3 gennaio 1954, con la Domenica Sportiva. Una data che viene presa come inizio di tutto spesso per convenzione, ma che rimane comunque da scolpire nella memoria. Il viaggio prosegue con il racconto dell’impulso dato da tutti i grandi eventi, tipo Mondiale del 1954 ed Olimpiade di Roma, e con l’evoluzione della cronaca sportiva nel corso degli anni in tandem con il progresso tecnologico-tecnico: dalla mondovisione al satellite, passando per il colore e tante altre pietre miliari che non vorremmo banalizzare con un semplice elenco copiato dal sommario.
Il libro è da leggere sia come opera unitaria che preso per singoli capitoli, ognuno dei quali rimanda a sviluppi ed approfondimenti che dipendono dalla sensibilità e dal tempo del lettore. Il nostro personale podio, quanto ad interesse, va all’inizio dell’era del colore, racconto distribuito in più capitoli ed indicativo di una certa mentalità delle cosiddette elìte italiane, alla parte su Svizzera e Capodistria (apprezzabile soprattutto dagli ex bambini del Nord Italia) ed alla vera svolta nel rapporto fra tivù commerciale ed emittenza pubblica: il Mundialito del 1981 (quello di Victorino) , con i diritti prima acquistati da Canale Cinque dell’emergente Silvio Berlusconi e poi in parte subceduti alla Rai dopo incredibili polemiche. Non a caso ogni tema ci offrirà nelle prossime settimane il pretesto per analizzare la situazione attuale, mentre per quanto riguarda il libro in particolare possiamo dire che la disamina è priva di quella retorica della nostalgia che in genere a noi è tanto cara ma che a gente di altre fasce d’età può dare fastidio. Giustamente Frisoli non personalizza mai più di tanto le grandi svolte ed ogni protagonista degli eventi viene bene inquadrato nella sua epoca e nella prospettiva di chi si è trovato al posto giusto nel momento giusto. In questo senso l’opera è un passo avanti rispetto alle tante rievocazioni, scritte e televisive, del genere ‘Sfide’, dove il colpo al cuore del bianco e nero spesso sopprime la capacità di analisi.
Se difetti proprio si devono trovare a questo libro, oltre a quello di non essere stato adeguatamente promosso dall’editore (noi stessi lo abbiamo trovato solo grazie al passaparola), possiamo individuarne due: la riduzione al minimo dell’aspetto critico, quasi inseguendo l’asetticità, ed un eccesso di sintesi nel trattare gli eventi sportivi che hanno accompagnato lo sviluppo della televisione italiana. Ma a ben vedere è proprio questo il prezzo da pagare per l’assenza di retorica. Ovviamente nella trattazione il calcio fa la parte del leone, più nei tempi moderni che agli albori della tivù, quando come sport popolari ciclismo e pugilato tranquillamente potevano reggerne il confronto. Ed in ogni caso procedendo con la lettura ci si rende conto di quanto importante sia diventato come ‘killer application’ il calcio nel corso degli anni, fino ad arrivare alle ovvie considerazioni su Telepiù-Sky che sono cronaca dei giorni nostri e non più storia. In questo senso il libro riesce a far capire perfettamente che la monocultura calcistica attuale non è qualcosa di imposto dal nostro passato remoto, ma una sorta di imposizione dello sviluppo commerciale e tecnologico: bisogna ‘andare sul sicuro’, sia nella tivù finanziata dalla pubblicità che in quella basata sugli abbonamenti, per gli ‘altri sport’ solo briciole di chiaro e nicchie pay più o meno dorate. Con qualche eccezione dovuta al tifo, che si parli di Ferrari piuttosto che di Tomba.
Alla fine della lettura ci si rende drammaticamente conto di quanto tempo abbiamo dedicato allo sport visto in televisione e che un cambiamento tecnologico o di programmazione nelle trasmissioni influisce sulla nostra vita più della scomparsa di un parente o di un amico. Non se ne esce, ma nemmeno vogliamo uscirne.

Stefano Olivari
stefano@indiscreto.it

LA TV PER SPORT, di Pino Frisoli (Edizioni Tracce, 2007)

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