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Le schegge

Stefano Olivari 20/12/2023

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Per goderci Le schegge, titolo originale The Shards, l’ultimo libro di Bret Easton Ellis, abbiamo aspettato la sua versione italiana uscita per Einaudi. Non siamo critici letterari, ma lettori, e trattiamo in maniera diversa l’autobiografia di Pippen che dobbiamo assolutamente leggere su Kindle poche ore dopo la sua uscita in inglese da un romanzo in cartaceo con i nostri tempi di vita. Questa che segue non è quindi ovviamente una recensione, sul web ce ne sono già a migliaia, ma una riflessione sul perché leggere romanzi nel 2023, in un mondo pieno di altre attività interessanti e ugualmente inutili.

Leggere un romanzo è una delle attività più asociali che esistano, non da oggi ma da sempre, perché al di là della capacità di isolarsi e concentrarsi il romanzo non fornisce notizie o informazioni, da giocarsi nella peggiore delle ipotesi in una conversazione. Il romanzo è una storia, un mondo, che ci attrae o non ci attrae per i motivi più diversi. Perché, per venire a Le schegge, dovremmo appassionarci ad una storia di liceali californiani ricchi ambientata nell’autunno del 1981, ragazzi in buona parte fluidi prima della fluidità, destabilizzati dall’arrivo di un nuovo compagno, Robert Mallory?

La prima risposta potrebbe essere lo stile, quello di Bret Easton Ellis è unico anche nei saggi e non a caso si tratta, fra i grandi, dell’unico scrittore gay a non rimanere ingabbiato in intellettualismi da scrittore gay. Anzi, Ellis è sempre scorrettissimo, sia in materia sessuale sia su tutto il resto (racconta solo storie di bianchi, per dire, l’unico personaggio non bianco è la sua domestica), e non ha alcun messaggio da trasmettere se non quello di una felicità raggiungibile soltanto con una sorta di indifferenza emotiva, quella che ad esempio riscontra in Susan Reynolds. Un’altra risposta è la capacità di farci entrare nel personaggio o nei personaggi, che non significa raccontare cloni dei lettori: non siamo giovani, californiani, ricchi, gay, aspiranti scrittori, drogati, con famiglie disastrate, eppure…

Nel romanzo la differenza fra chi è capace e chi no è immensa, a differenza di quanto accade nei saggi dove anche un cane si fa leggere se ha una storia interessante. In altre parole, ad un certo punto ci si lega all’autore più che a quello che scrive. Qualcuno, copiamo una citazione senza ricordarci chi stiamo citando, ha detto che è bellissimo pensare che c’è sempre qualche libro di Simenon che non abbiamo letto, e noi la pensiamo esattamente così. Per questo, visto che la giornata ha 24 ore, leggiamo tantissimo di pochissimi e molliamo senza scrupoli dopo poche pagine libri che ci dicono essere ‘importanti’. Di recente ci è capitato con Spatriati, di Mario Desiati: non un libro di nicchia (ha vinto lo Strega) o sperimentale, anzi, ma per il nostro gusto un libro illeggibile, con tutto quel vittimismo e quei non detti da provincia italiana (la fluidità non manca nemmeno qui).

Il grande romanzo, e secondo noi Le schegge lo è, sa usare più registri: il terrore del giovane Bret quando torna a casa e chiama il suo cane, Shingy (c’è un serial killer che prima di agire rapisce e fa a pezzi gli animali delle sue vittime), è del tutto competitivo con Stephen King, così come le scene di sesso hanno una forza e un’ironia alla Henry Miller. E le descrizioni, lunghissime ad esempio quelle delle strade di Los Angeles, sono sempre dentro il confine della noia. E quindi? Leggere romanzi non serve a niente, se non a noi stessi per ascoltare la nostra voce grazie a quella di un altro.

stefano@indiscreto.net

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