Il messaggio di The Athletic al New York Times

8 Gennaio 2022 di Stefano Olivari

Il New York Times sta per comprare The Athletic, per circa 550 milioni di dollari: mancano soltanto le firme, o forse sono già arrivate, ma non è questo il punto. Il punto è che un sito di giornalismo sportivo, una delle troppe cose a cui siamo abbonati (4 dollari al mese e non ce ne siamo pentiti, con la possibilità di disdetta mensile costa il doppio), ha raggiunto in 6 anni di vita un valore di mercato astronomico, da start-up tecnologica quando invece altro non è che una serie di commenti e analisi sullo sport, soprattutto americano ma con una sezione calcistica buona, per quanto sbilanciata sulla Premier League.

The Athletic ha circa 1.200.000 abbonati dichiarati (ma ci crediamo, perché con il fisco americano raccontare bugie è pericoloso), il che significa che anche senza pubblicità incassa più di 60 milioni di dollari l’anno da abbonamenti. Quella del vivere sul web di abbonamenti, sfuggendo alle logiche del click, è anche fra l’altro la filosofia del New York Times, che di abbonati digitali ne ha più di 8 milioni. Prima dell’autoflagellazione diciamo però che la stessa analisi sulla Coppa d’Africa scritta in italiano vale 1 e scritta in inglese 50, per evidenti motivi di lingua e di influenza/imperialismo culturale.

Tornando però a The Athletic, la domanda che qualcuno si fa è se in Italia un modello simile possa funzionare, sempre con le dovute proporzioni perché il sito fondato da Alex Mather e Adam Hansmann ha 600 dipendenti ed i tre quotidiani sportivi italiani messi insieme ne hanno un terzo. Un modello fondato non soltanto sui famosi longform, ma anche su storie brevi di stretta attualità scritte con cura e sempre con il taglio dell’approfondimento. Noi personalmente, ma forse non c’era bisogno di precisarlo, leggiamo soprattutto quelle di pallacanestro (appena finito un bellissimo speciale sul rientro di Klay Thompson), ma gli abbonamenti funzionano così.

Un modello lontano dall’intellettualismo che rovinerebbe una simile operazione da noi, ma che comunque ipotizza un lettore appassionato generico di diversi sport e non un tifoso di una squadra specifica di uno sport solo. Poi da lettori ne vediamo anche i difetti, come le tasse pagate al politically correct (genere ‘Simone Biles donna dell’anno, anzi del millennio’) ed una paradossale, per un sito del genere, mancanza di prospettiva che rende tutto più o meno della stessa importanza.

Una scommessa vinta, anzi stravinta, ma che forse si può fare soltanto da certe dimensioni in su. Certo con il demenziale modello da criceto sulla ruota, in cui siamo inseriti anche noi, non si va da nessuna parte e quindi tanto varrebbe morire con le armi in pugno, come Butch Cassidy e Sundance Kid. O meglio, come Ciro e Genny.

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