Scalfari – A sentimental journey, la recensione

30 Dicembre 2021 di Stefano Olivari

Imperdibile l’altra sera su Rai Tre, ma lo si può trovare anche su Rai Play, Scalfari – A sentimental journey, il film-documentario che Donata ed Enrica Scalfari, insieme ad Anna Migotto, hanno dedicato al padre Eugenio. Un’opera riuscita su uno dei pochi giornalisti davvero capaci di essere più importanti dei personaggi che raccontano: in molti sono convinti di essere così, ma solo il fondatore di Repubblica e pochi altri sono stati in grado di frequentare senza sudditanza né deferenza i grandi della cronaca, a volte anche della storia.

Largo spazio, secondo noi troppo, è dedicato alla frequentazione con Papa Francesco spacciata per amicizia: il superlaico Scalfari ci tiene a far sapere che non è stato folgorato dalla Fede, quindi anche in questo caso il protagonista è il suo ego. Così debordante che le figlie ed i colleghi che se lo possono permettere, da Bernardo Valli ad Ezio Mauro, lo sfottono quasi apertamente.

Di certo lo Scalfari più Scalfari è quello che da direttore di Repubblica dettava l’agenda politica e trattava politici di primo piano quasi come burattini. La famosa ‘messa cantata’ raccontata più volte da Pansa, con i politici messi in viva voce durante la riunione del mattino in modo che tutti al giornale potessero capire chi dava (o pensava di dare) la linea’.

A sentimental journey è un film anche molto intimo, Enrica e Donata Scalfari non fanno sconti alla doppia vita, quasi due matrimoni paralleli, del padre, ed è divertente la scena in cui il nipote dice al nonno che il suo sogno è fare il procuratore sportivo. A sorpresa Scalfari risulta essere stato un padre molto presente, che addirittura tornava sempre a casa per pranzo. Con le figlie che spesso si trovavano a pranzo Berlinguer o De Mita.

Forte come al solito Natalia Aspesi, mentre non c’entrano molto le testimonianze di Veltroni e Massimo Recalcati, lontani dalla psicologia balzacchiana di Scalfari. Il ritratto che viene fatto del 97enne giornalista è comunque nei limiti del possibile onesto: un uomo assolutamente del Novecento, che nutre un profondo disprezzo per il mondo post-ideologico e che negli ultimi anni lo ha manifestato cercando di volare più alto.

Certo in un’ora e un quarto era difficile raccontare tutto, ma secondo noi si è detto troppo poco dei rapporti di Scalfari con la finanza (è stato uno dei primi a raccontarla bene, al di là delle cifre) e del suo bisogno, misto a scelte di marketing, di individuare un nemico che unisse nella battaglia i salotti progressisti e la sinistra tradizionale: Craxi e Berlusconi gli esempi da manuale. In definitiva un’opera ben fatta, ma che forse scontenta chi Scalfari lo legge da sempre.

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