Sax & the City

11 Febbraio 2009 di Flavio Suardi

di Flavio Suardi

Il sax soprano è da sempre il sassofono più difficile da suonare. Tremendamente faticoso da intonare, rappresenta l’alternativa più frequente per chi suona il sax tenore. Per uno che ha un padre suonatore di trombone non rappresenta quella che si potrebbe definire la diretta conseguenza di una passione musicale. Ancora più singolare se il connubio tra trombone e sassofono soprano ha come risultato finale un grande giocatore di pallacanestro. Il sassofono a tracolla e un pallone da basket in mano: questo potrebbe essere il poster più rappresentativo di Charles W. Yelverton. Coach Sandro Gamba nell’evoluzione della carriera di Yelverton ha rappresentato qualcosa di più di un allenatore, tanto che lo stesso giocatore si rivolge al suo vecchio coach chiamandolo semplicemente “papà”. Charlie Yelverton, “l’ascensore nero” o più semplicemente “sax”, approda in Italia nella stagione 1974-75, come straniero di Coppa della Mobilgirgi Varese, a quell’epoca allenata proprio da Gamba. Era reduce da una esperienza Nba per certi versi allucinante, durata lo spazio di una stagione con la maglia dei Portland Trail Blazers, dai quali era stato scelto al secondo giro del draft con il numero 8. L’episodio per cui viene maggiormente ricordato e che, paradossalmente, gli ha stroncato la carriera, risale proprio ai tempi dei Blazers: la società decise, con un pretesto, di tagliare Willie McCarter, uno dei compagni di colore di Charles. Yelverton visse questa esperienza come l’ennesimo episodio di razzismo e decise, assieme agli altri tre compagni di colore di protestare durante l’inno nazionale prima della gara con Phoenix. Al momento dell’inno gli altri atleti di colore non diedero seguito a quell’accordo e Yelverton si trovò solo a dirigersi verso la panchina invece di guardare la bandiera in segno di rispetto. Fu coperto di insulti (poi zittiti con una gran schiacciata) quando entrò in campo nell’ultimo quarto di quella partita, ma quell’episodio gli valse di fatto l’esclusione dal mondo Nba. Rientrato a New York dopo un’esperienza negativa nel campionato greco, conclusa ai quarti di finale tra risse e arbitri venduti, aveva comprato un taxi e dopo gli allenamenti lavorava la notte per la strada. Il problema è che in quel taxi era anche costretto a dormirci, visto che in quegli anni erano poche le persone che affittavano volentieri appartamenti a gente di colore: che fosse stato un giocatore di pallacanestro non mutava la sua condizione. Gamba lo aveva notato fin dai tempi del college, quando Yelverton guidò al terzo posto del torneo Ncaa il piccolo ateneo di Fordham. Arriva a Varese nel 1974 per disputare la Coppa dei Campioni, dopo essersi esibito in una tournée estiva con una rappresentativa di giocatori statunitensi reclutati dalla Repubblica di San Marino. Non si è mai separato dal sassofono, lo suonava in camera durante le trasferte e un po’ tutti si erano ormai abituati alla sua musica molto coinvolgente. Diceva sempre che suonare lo aiutava a superare i momenti di tristezza e che lo rilassava prima di una gara importante. Ma le “intemperanze sonore” di Yelverton non si limitavano al sax. Si dice che una mattina Gamba abbia ricevuto una telefonata da parte del padrone dell’appartamento dove alloggiava: si lamentava perché a qualsiasi ora del giorno e della notte, Charlie utilizzava il box auto per fare esercizi di ball-handling, svegliando tutto il vicinato. In alternativa, sempre e rigorosamente all’alba, andava a buttare giù dal letto il custode dello stadio di calcio adiacente il palazzo dello sport: arrivava davanti al cancello e urlava a squarciagola: “Luiiiisssss”, in modo che questi, tra un’imprecazione e uno sbadiglio, gli aprisse la porta per farlo correre sulla pista di atletica dello stadio. Al suo arrivo a Varese, Yelverton si deve accontentare di giocare una volta ogni due settimane, come straniero di Coppa, ma trascina subito la squadra sul tetto d’Europa. E dire che la notte precedente quel 10 aprile del 1975 Charlie aveva un febbrone da cavallo: la sera in camera aveva i brividi dal freddo, ma non avrebbe saltato quella partita neanche se gli avessero sparato. Sosteneva che per superare la febbre gli bastasse bere the zuccherato. Ne bevve dei litri e il giorno dopo trascinò Varese al successo contro il Real Madrid, annullando Brabender, il giocatore simbolo di quel Real. In quella partita Varese aveva anche dovuto fare a meno di Dino Meneghin, infortunato, ma riuscì a spuntarla per 79-66. Nonostante la vittoria, Yelverton lascia Varese per approdare a Brescia nelle due successive stagioni: si allenava tantissimo, ma per lui giocare solo una volta ogni due settimane era diventata una vera e propria sofferenza. Per un giocatore che ha conosciuto la povertà, il rapporto con il denaro è sempre un po’ particolare: dicono che non sia mai stato attaccato esageratamente ai soldi, ma utilizzava un gesto scaramantico molto divertente. Aveva in camera da letto un secchio che aveva riempito a metà con delle monete. Ogni tanto chiamava Gamba in camera sua e cominciava lo show. Prendeva quel secchio e si rovesciava tutte le monete addosso dicendo: “Coach, mi svuoto il secchio addosso così i soldi mi pioveranno in testa senza sosta per i prossimi anni. Lo faccia anche lei, porta fortuna”. La pallacanestro, il sax e l’Italia sono i tre grandi amori di Charles W. Yelverton: ora il ball handling lo insegna ai bambini del minibasket di Verbania invece di fare esercizi in un box, il sassofono lo suona in pubblico con il suo gruppo jazz e non più nella sua camera d’albergo durante le trasferte. L’Italia è diventata la sua casa.
flavio.suardi@gmail.com
(in esclusiva per Indiscreto)
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