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Atletica

Indietro nel tempo con Dafne

Stefano Olivari 18/08/2014

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L’atletica italiana torna da Zurigo con la speranza di essere ancora in vita, ma non certo per la contabilità delle medaglie. Che, per quanto ottenute in gare nobili come maratona e 400, sono sempre tre: nono posto in quello che una volta si definiva ‘medagliere’ (pareggiate le tre di Helsinki 2012, dove però non c’erano le maratone), nono anche nella più credibile classifica a punti che tiene conto dei piazzamenti dal primo all’ottavo. Senza fare confronti con la preistoria, due posti peggio del già modesto settimo dei recenti Europei a squadre (la fu Coppa Europa) a Braunschweig. Insomma, non bene. Anche se questo non toglie che sia stato giusto portare in Svizzera quasi tutti gli atleti con il minimo di partecipazione, strappandoli nel 90% dei casi alla mediocrità del tran tran militare. Militare per modo di dire, visto che quasi tutti stanno a casa propria o in centri federali, ma questo è un altro discorso… A caldo proponiamo soltanto impressioni flash su una manifestazione che avrà sempre un senso, a meno che tutti non si mettano a imitare la Turchia nella concessione di passaporti.

1. Ha avuto ragione Daniele Meucci, non solo perché ha vinto l’oro nella seconda maratona della sua vita preparata seriamente, la terza in totale, ma perché lo ha fatto a meno di 4 giorni dalla scelta (che rimane sbagliata) di correre i 10mila pensando che la possibile assenza di Mo Farah avrebbe rimescolato le carte. Non si sa quanto scelta sua e quando di una federazione che avendo poche possibilità di medaglia è più portata a mandare gli atleti al massacro (vedere Greco). Il tempo di 2h11’08”, pur ottenuto in un percorso particolarissimo (ma con bel tempo, che nella prova femminile e nella marcia non c’era) e pieno di saliscendi, non autorizza a sognare in chiave olimpica ma di sicuro segna un secondo inizio di carriera per un atleta che ha sempre pensato in grande ed effettuato scelte per migliorarsi e mai per tirare a campare. Uno dei rari casi in cui il mezzofondista che allunga non rimane a metà del guado, come forse sta avvenendo per Lalli.

2. Dafne Schippers riporterà l’atletica sulle copertine delle riviste non di atletica, per evidenti motivi. Ma di sicuro ha anche riportato i 200 metri europei indietro di 20 anni, almeno ai tempi della Perec se non proprio a quelli di Marita Koch, della Gladisch, della Goehr o della Drechsler giovane… Con 22”03 l’anno scorso a Mosca sarebbe stata campionessa del mondo, ma a questo punto è più interessante vedere in quale modo la IAAF la cavalcherà. Per i personaggi da copertina, tipo Michael Johnson (200-400), Carl Lewis (velocità-lungo) o El Guerrouj (1500-5000 ad Atene 2004), le sovrapposizioni di giorni erano quasi sempre state accuratamente evitate, sarebbe auspicabile che anche per la Schippers (per eptathlon e 200, considerando i 100 impraticabili come medaglie) fosse così. Con un programma di 9 giorni, invece che di 6, basta volerlo.

3. Il fatto che fosse una medaglia annunciata, stando ai tempi stagionali, nulla toglie all’oro di Libania Grenot che a 31 anni è riuscita a dominare la tensione e a conquistare il risultato della vita nei 400, in una delle specialità più svalutate dal confronto con il resto del mondo. Davvero inconsistente la polemica sull’italianità della Grenot, perché la Grenot intesa come atleta di italiano ha solo lo stipendio delle Fiamme Gialle. In altre parole, non possiamo criticare i turchi che danno passaporti a chiunque porti potenziali medaglie e poi prendere la Grenot come un prodotto della nostra atletica. A 22 anni, nel 2005, gareggiava ai Mondiali di Helsinki per la sua Cuba e in Italia ci è arrivata per matrimonio (poi trasformatosi rapidamente in separazione), non certo come rifugiata politica. Dal 2011 si allena quasi di fisso in Florida, con un tecnico americano. Brava per i risultati, ma dovrebbe esserne orgoglioso il movimento atletico cubano e non il nostro.

4. La doppietta 1500 piani-3000 siepi sul piano tecnico ci può stare, perché molti campioni delle due specialità hanno caratteristiche comuni (esempio nostrano Alessandro Lambruschini, stella internazionale nelle siepi e campione italiano anche nei 1.500), ma è di fatto impossibile per le sovrapposizioni di giorni e perché nessuno aveva mai manifestato interesse per l’impresa. Un Mekhissi-Benabbad in forma splendente ha rovinato tutto, con uno dei gesti più stupidi mai visti su un campo di atletica a qualsiasi livello. La maglietta tolta e messa in bocca negli ultimi 100 metri delle siepi è stata un gesto che nel calcio sarebbe stato normale, si è detto in chiave giustificazionista. Ma, appunto, nel calcio. Il modo in cui poi ha dominato i 1.500 è stato da campione: di sicuro, ripensando a Zurigo 2014, ci ricorderemo più di Mekhissi che di tutti gli altri vincitori annunciati (e lui nei 1.500 certo non lo era).

5. Le telecronache RAI sono state di una qualità notevole, imbarazzante per il resto della RAI non solo sportiva. Franco Bragagna nella consueta veste del saputello (il saputello che però le cose le sa veramente, non è un dettaglio), Stefano Tilli che sa alternare tecnicismo (soprattutto sulla velocità) e spiritosaggini, Elisabetta Caporale sempre puntuale nelle domande e paziente con l’ennesimo atleta spocchioso-lamentoso che dice ‘Facevo dei buoni allenamenti, ma oggi mi sentivo scarico, comunque ringrazio il maresciallo e il fisioterapista’, il neo-acquisto Giorgio Rondelli che già a Eurosport era bravissimo e che sa offrire sia risposte che domande intelligenti. Il personaggio di culto, non perché ne sapesse meno degli altri ma perché doveva difendere ogni decisione federale a dispetto dell’evidenza, è stato ovviamente Dino Ponchio, che da bravo tecnico italiano (sempre i migliori del mondo, come del resto in ogni sport) aveva una spiegazione a posteriori per tutto, fra una traslocazione da sistemare e una ritmica da registrare (una spiegazione per tutto tranne che per il salto di Evangelisti, del quale era l’allenatore, ai Mondiali di Roma). Comunque è stato un piacere ascoltare persone competenti per decine di ore, non è stato tempo buttato via.

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