Attualità
Morning in America
Stefano Olivari 06/11/2024
Donald Trump è di nuovo presidente degli Stati Uniti, dopo 4 anni in cui molti lo hanno dato politicamente morto o nella migliore delle ipotesi carcerato. Trump ha battuto Kamala Harris a dispetto del 90% dei giornalisti europei che in queste ore sembrano in lutto e stanno rivalutando i giornalisti-tifosi delle trasmissioni calcistiche. Essendo Trump un personaggio anni Ottanta come pochi, per noi è impossibile non pensare al Reagan del 1984 e alla sua campagna per la rielezione, a colpi di “It’s morning in America“. Certo Reagan era in carica, quindi quel Morning in America voleva essere un messaggio positivo e non di reazione a una situazione da cambiare, ma quei valori sbandierati sono ancora ritenuti validi da una parte maggioritaria degli Stati Uniti, molto al di là di Trump che non ha un’ideologia ben precisa e che anzi vive con fastidio la convivenza con la parte tradizionale del partito repubblicano.
Fra l’altro Trump non è paragonabile a Reagan anche per le storie troppo diverse visto che Reagan dopo aver fatto l’attore, e il sindacalista degli attori, era diventato un politico di professione, per 8 anni governatore della California, eccetera. Ma quel messaggio, partorito dalla fantasia e dalla voce narrante di Hal Riney (un simil Draper di Mad Men, personaggio incredibile), ha attraversato i decenni: “It’s morning again in America. Today more men and women will go to work than ever before in our country’s history. With interest rates at about half the record highs of 1980, nearly 2,000 families today will buy new homes, more than at any time in the past four years. This afternoon 6,500 young men and women will be married, and with inflation at less than half of what it was just four years ago, they can look forward with confidence to the future. It’s morning again in America, and under the leadership of President Reagan, our country is prouder and stronger and better. Why would we ever want to return to where we were less than four short years ago?“.
Non sono insomma i valori di chi vuole andare in giro per il mondo a combattere guerre presunte giuste, così amate per motivi diversi dai fanatici democratici e repubblicani, o a dare lezioni di etica, ma di chi vuole migliorare la propria vita ed essere orgoglioso, o almeno non vergognarsi, del proprio paese. La riflessione scomoda non è sull’imprevedibile Trump, visto che gran parte di chi lo ha votato vede i suoi limiti e la sua età, ma sul fatto che alla maggior parte degli americani e anche di noi importi fondamentalmente di stare bene, di lavorare, di non essere aggrediti per strada, di pagare meno tasse, di guardare al futuro con moderato ottimismo, di non trasformare i problemi personali in battaglie ideologiche, di non farsi carico di tutti i problemi del mondo e soprattutto di non essere colpevolizzati da autoproclamati maestrini. Lo spot del 1984 dice tutto meglio di noi e meglio anche del Make America Great Again. Una visione anche da repubblicano moderato (Morning in America è spesso citato da Rubio) e da democratico centrista: senza fare fantapolitica o sognare con Tulsi Gabbard, con un Biden sano il risultato sarebbe stato in discussione già a questo giro. Dopo tanto parlare di fine della classe media, la classe media (quella da cui vengono tutti i giornalisti, che se ne vergognano, mitizzando ricchi e poveri) ha votato.
stefano@indiscreto.net