Giochi Olimpici
Melo per la storia
Stefano Olivari 03/08/2012
Per i suoi antipatizzanti Team Usa sbaglia sempre: se vince di poco è perché non ha gente attaccata alla maglia, se vince di tanto è perchè maramaldeggia. Contro la Nigeria si era nella seconda dimensione, avendo gli Stati Uniti sotterrato gli avversari molto al di là dei tanti record stabiliti: dagli 83 punti, massimo scarto nella storia olimpica (superato il più 72 di Stati Uniti Thailandia a Melbourne 1956, giocava Bill Russelll...) ai 156 totali record olimpico assoluto (superati i 138 del Brasile di Oscar, anno 1988, contro l’Egitto). Le emozioni ce le eravamo giocate tutte già al pomeriggio, con il canestro da tre di Fridzon, mentre Barbosa gli segava le gambe con un tackle (non sanzionato) alla Goicoetxea, che all’ultimo secondo ha dato la vittoria alla Russia sul Brasile. Qui parliamo di sorpresa, non di emozione. A sorprendere negli Usa è stata la cattiveria con cui tutti hanno giocato fin dal primo secondo una partita inutile, senza rinunciare mai a difendere contro una squadra di buoni e in alcuni casi ottimi professionisti con passato e presente NBA e riducendo al minimo i numeri da circo. Dinamismo NBA e tiro jugoslavo: alla fine 29 canestri da tre punti… Inutile girarci intorno, visto che si torna sempre lì: siamo, come messaggio lanciato al resto mondo, in zona Usa-Angola 1992. La partita della supergomitata di Barkley, vinta di 68 punti senza che ce ne fosse il bisogno. Il confronto va fatto con il Dream Team originale, non per improbabili e tifose somme di valori individuali (la squadra di Sydney e quella di Pechino non erano male…), ma per l’importanza storica. Questi Usa non giocano solo per vincere, ma soprattutto per ristabilire una supremazia storica: quella del 1992 era scontata, per la deferenza degli avversari e grazie alle divinità scese sulla terra, quella di vent’anni dopo molto meno. Quindi il messaggio lanciato alla Spagna della situazione è evidente: volete battezzarci con le vostre zonette? E noi tiriamo più da tre che da due (46 volte contro 37), oltretutto con il 63%. Non sappiamo se a Carmelo Anthony, che ascolta l’inno con le mani in tasca, sia molto interessato alla prospettiva storica, certo è che raramente l’abbiamo visto così assatanato come in questa inutile partita: 37 punti in 14 minuti. Siamo in zona Phelps, il Phelps 2008; vincere non basta, non può bastare.