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L’Inter di Mimmo Caso
Paolo Morati 23/05/2020
I recenti passi nella direzione dell’abbattimento di San Siro ci impongono di scrivere questo post. Quest’anno si festeggia infatti il quarantennale dello scudetto dell’Inter di Eugenio Bersellini ed Ivanoe Fraizzoli. Argomento, quello di una squadra della quale ricordiamo ancora a memoria la formazione, già ampiamente dibattuto in passato grazie a una serata guidata dal direttore, che prossimamente potrebbe avere una replica con Ivano Bordon, e su cui non restano ormai che i ricordi. Ecco, appunto, i ricordi.
L’Inter di Bersellini è la prima che abbiamo stampata chiaramente nella mente sul prato di San Siro, lo stadio che aveva ancora il secondo anello scoperto, e con i posti popolari che potevi scegliere liberamente, arrivando sui freddi gradoni e poggiandosi sui morbidi cuscinetti portati da casa, ammesso di averli. Insomma, chi primo arrivava meglio alloggiava come posizione, non esistendo divisioni e posti assegnati. Ma non solo. Se incorrevi in una giornata di pioggia tornavi a casa tranquillamente inzuppato, sperando che l’Inter (nel nostro caso) avesse almeno vinto.
Ecco, l’Inter di Bersellini è stata l’ultima a vincere un campionato senza stranieri, come era logico visto che quella 1979-80 è stata l’ultima stagione senza stranieri. Aveva una maglia bellissima, con le strisce larghe e lo scudetto del biscione sul cuore sormontato dalla stella. La numerazione in campo era per fortuna la classica da 1 a 11, senza personalizzazioni e senza sponsor in bella vista sul petto. I pantaloncini erano veri pantaloncini e non i mutandoni di oggi.
Un altro calcio da vivere e un altro modo di stare in campo, così come in panchina. Le panchine che avevano seggiolini e non poltrone comode, e dove le riserve osservavano giocare i titolari consolidati, senza particolari polemiche e primedonne. Ed ecco che mentre gli altri si esaltavano per la corsa di Lele Oriali, l’eleganza di Graziano Bini, la fantasia di Evaristo Beccalossi e i gol di Alessandro Altobelli per noi il numero uno, l’idolo di quella squadra, era Domenico Caso, detto Mimmo.
Centrocampista, con assegnato quando in campo il numero 7, Caso era un giocatore intelligente, rapido, con buoni piedi e visione di gioco, ala destra ma anche regista arretrato. Restò all’Inter due stagioni collezionando 76 presenze e segnando 4 gol, dei quali quello che restò più impresso nella memoria arrivò nella stagione 80-81 contro la Stella Rossa di Belgrado in Coppa dei Campioni. Lo sentimmo alla radio, tra crepitii e interruzioni, mentre stavamo viaggiando in treno con la famiglia. Poi la corsa a casa, davanti a uno scassato televisore in bianco e nero per guardare la sintesi e poterci esaltare insieme a lui.