Recensioni
La Repubblica di Vittorio Emanuele
di Stefano Olivari
Pubblicato il 2023-07-12
Se nel 1946 non avessero taroccato il referendum Monarchia-Repubblica oggi avremmo un re come Vittorio Emanuele IV. Invece quei brogli, frutto anche di un clamoroso scontro fra Stati Uniti (favorevoli alla Repubblica) e Regno Unito (per la Monarchia), vinto ovviamente dagli americani, segnarono probabilmente per sempre, almeno fino al futuro califfato, la nostra storia. Pensavamo proprio a questo guardando Il Principe, su Netflix, docuserie sull’uccisione di Dirk Hamer nel 1978 all’Isola di Cavallo.
Una vicenda stranota ma che nella sua docuserie Beatrice Borromeo riesce a raccontare da un punto di vista inedito, almeno per noi, dando voce a quei ragazzi (oggi ovviamente ex ragazzi) della Roma bene con cui Vittorio Emanuele aveva litigato accusandoli di avere usato il suo canotto (…). Dopo una escalation di insulti, con il teorico Re d’Italia che aveva anche gridato ‘Italiani di merda‘, dal fucile di Vittorio Emanuele era partito il colpo che aveva ferito il ragazzo tedesco, che sarebbe poi morto dopo mesi di agonia.
Protagonista de Il Principe è Birgit Hamer, la sorella di Dirk, ex modella che praticamente da sola riesce ad abbattere il muro di gomma della giustizia francese e portare Vittorio Emanuele davanti a un tribunale, fino all’incredibile assoluzione parigina del 1991. Il cuore della docuserie non risiede comunque nella storia, non ci sono rivelazioni (non lo è nemmeno il fuori onda su Juan Carlos di Spagna che da ragazzino ammazzò suo fratello) ma tanti caratteri ben definiti.
Quello di Vittorio Emanuele, prima di tutto, con il suo astio verso l’Italia e la sua vita, comunque agiata, da maneggione d’alto bordo e nella sostanza disprezzato dal padre Umberto. Quello di Emanuele Filiberto, anche lui a suo modo vittima di brogli (quando nel 2010 a Sanremo fecero vincere Valerio Scanu), molto misurato nel parlare di come la famiglia visse gli anni del processo ma anche poco convinto nel difendere l’innocenza del padre: giusto un compitino citando la sentenza.
Quello di Birgit Hamer, schiacciata fra il senso di colpa per la morte del fratello (in quella compagnia l’aveva introdotto lei), il sistema giudiziario francese e la sua stessa famiglia, a partire dall’ingombrante padre Ryke Geerd, medico alternativo e complottista, figura che avrebbe meritato un approfondimento. Dimenticare le tragedie è il miglior modo di andare avanti, ma Birgit non l’ha mai fatto ed alla fine la storia, anche se non la giustizia togata, le ha dato ragione.
Quello degli ex ragazzi italiani in vacanza negli anni di piombo, finiti in mezzo ad una vicenda assurda: fra di loro la presenza di culto di Giovanni Malagò, anche lui nel documentario della Borromeo. Ci vergogniamo a dirlo, ma mentre Malagò parlava ce lo immaginavamo in quell’agosto a cercare disperatamente il Corriere dello Sport per sapere dei primi gol di Pruzzo con la maglia della Roma.
In definitiva un’opera molto equilibrata, nonostante la madre della regista (Paola Marzotto, figlia di Marta) sia una grande amica di Birgit Hamer: comunque le peggiori accuse a Vittorio Emanuele arrivano dalle sue stesse parole e dal suo sguardo allucinato. Meglio la Repubblica, con tutti i suoi difetti diciamo che nel secondo tempo ha legittimato il gol segnato in fuorigioco.
stefano@indiscreto.net