La leggenda di Filippo Paita

5 Agosto 2011 di Giorgio Specchia

di Giorgio Specchia
Zero titoli, ma un talento grandissimo. Ci fosse lui ora il mezzofondo italiano avrebbe sicuramente un finalista olimpico e mondiale. Altrettanto sicuramente avrebbe una medaglia prenotata per gli Europei. Eh già, se ci fosse Filippo Paita. E chi è? Uno che figura nelle liste dei più veloci italiani di sempre sui 3.000 metri. Il suo nome è in mezzo a quelli di Di Napoli, Ortis, Panetta, Cova, Mei… Quel 7’51” indoor nel 1992 a Genova, nei Columbus Games trasmessi in diretta su Tele Monte Carlo, fa urlare a Giacomo Mazzocchi: “Chi è questo Filippo Paita?”. L’ex c.t. Rossi risponde: “Un ragazzo della Riccardi”.
Quel ragazzo, 24 anni, è conosciuto solo da chi l’atletica la mastica, la capisce, la suda. Alla Forza e Coraggio di Milano, pista in terra da 378 metri, un giorno si inventa un allenamento. Parte da casa, via Wolf Ferrari, è arriva di corsa al campo di via Gallura. Un chilometro e mezzo circa di riscaldamento. “Giorgio, dai, prendimi un mille”. “Vai Filippo”. Due minuti e 30 secondi. Attenzione: in una curva c’è la sabbia, nell’altra (dove non batte il sole) c’è il fango… Qualche giorno dopo lascio Filippo sotto casa all’una del pomeriggio dopo una sgambata di un’ora a 4 minuti al mille. Ci vediamo domani.

Giorgio Rondelli, l’allenatore, raggiunge Filippo in piazza Maggi. Quasi lo carica a forza in macchina. Filippo non vuole andare a Genova perché agli assoluti indoor è finito solo terzo. In tv, nella starting list in sovrimpressione, compare il nome di Filippo Paita. “Ma non mi ha detto niente, sarà un errore”, penso. Invece no. Filo è lì, lo inquadrano. E’ una gara veloce. Il gruppo si sgrana. Filippo a Genova accarezza la pista, il tempo è un tempone, il terzo assoluto all time in Italia. Paita però non è un robot. Se la gode. Un giorno me lo ritrovo nella sala corse di via Bramante, a due passi dall’Arena. Una piccola divagazione durante il riscaldamento della Pasqua dell’Atleta. Gioca un cinquantino su qualche sfigatissimo trottatore. Guarda la corsa in tv. Perde. Poi riprende il riscaldamento e piazza un meno 8 sui 3.000, terzo e primo degli italiani. Già, i 3.000. La sua distanza preferita, non olimpica ovviamente. A vent’anni si presenta al campo ’25 Aprile’. Leggiamo sulla Gazza che Cova fa un test pre-olimpico. Paita ha voglia di correre. E sta attaccato al campione fino ai 200 finali. Il campione s’incazza perché deve fare una volata per staccare “quello lì” che corre con la Lacoste verde. La prima impresa di Filippo è in seconda media. Tutti i milanesi nati negli anni Sessanta sanno cosa rappresenti quel giro intorno all’Acquario con partenza e arrivo all’Arena Civica. Per quel che mi riguarda un incubo. Tutti partono forte, come se fosse un 60 metri. Io adagio: “tanto li riprendo questi pirloni”. Invece il fiatone arriva presto e non raccolgo cadaveri. Gli altri se ne sono andati e io sono lì, con l’acido lattico che mi esce dalle orecchie. Filippo è uno di quei pirloni irraggiungibili. Entra all’Arena da solo con una retta di vantaggio. Mai nessuno ha vinto così…Prima di ritirarsi con l’atletica Filippo ci regala altre due perle, sempre nel 1992. Vince i campionati italiani assoluti sui 5.000 metri al Dall’Ara di Bologna. Baldini annaspa e se la giocano in volata Filippo e Gotti. Non c’è partita. Paita è più veloce, sopravanza l’amico Gotti ma, a 10 metri dal palo, improvvisamente scarta verso l’interno. Sfiora il rivale che appoggia un piede fuori dalla pista. Reclamo. Gotti vince, Paita sparisce dall’ordine d’arrivo. “Filippo, che cazzo hai fatto?”. “Volevo fare come quando Baroncini (un driver di trotto; n.d.r.) ha vinto quella corsa con Enguerillero (un trottatore; n.d.r.)…”.Per rimettere le cose a posto, tre mesi dopo (stessa pista, stessa distanza) Filippo li ribatte tutti (gli italiani) nella Notte delle Stelle. Primo Barkutwo (Kenia) 13’26”, secondo Ntawalikura (Ruanda) 13’29”, terzo Paita 13’32”. Pusterla, Gotti, Baldini, Carosi finiscono dietro. Qualche giorno dopo, ancora a Bologna, riunione regionale in un campetto periferico. Filippo vuole fare un 10.000. Il secondo, Privitera, finisce a 30”. Gli altri tutti lontani. Il primo è Paita che piazza lì un 28’35”. Avrà fatto cento doppiaggi. Sembra lanciato verso le vette internazionali. Sembra. Senza un vero perché Filippo Paita decide di non correre più.
Giorgio Specchia
(2 settembre 2009, in esclusiva per Indiscreto)

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