Il caso Alex Schwazer

17 Aprile 2023 di Stefano Olivari

Il titolo di peggior docuserie mai trasmessa da Netflix è ufficialmente di Il caso Alex Schwazer, di cui abbiamo appena finito di guardare le quattro puntate. E non perché il lavoro di Massimo Cappello sia noioso, anzi, ma semplicemente perché non è un documentario: al 90% è costituito da Schwazer e Sandro Donati che asseriscono di essere stati vittima di un complotto internazionale, che avrebbe coinvolto anche la FIDAL e i suoi medici. Insomma, ciò che si già letto in mille interviste, tutte smentite da molteplici sentenze ed infine dalla richiesta di archiviazione dello scorso marzo da parte della Procura di Bolzano nei confronti degli ignoti autori della presunta macchinazione che ha portato alla positività di Schwazer al controllo antidoping effettuato a Capodanno 2016.

Insomma, nessuna voce dissonante anche perché tutti gli accusati da Schwazer e Donati si sono rifiutati di intervenire. In questo senso l’unica parte viva di Il caso Alex Schwazer sono gli interventi di Carolina Kostner, che mette in evidenza la viltà del suo ex fidanzato, costatale tanto umanamente e sportivamente vista la squalifica toccata anche a lei. Il fatto che manchi un contraddittorio non è un dettaglio stilistico, perché non stiamo parlando di tifoserie avversarie che discutono di un rigore, ma di un dopato recidivo che da anni si gioca la carta del caso umano, con tanto di comparsate in contesti disinformati (su tutti Sanremo) per buttare la vicenda in caciara.

Imbarazzato ed imbarazzante l’intervento di Malagò, grande sponsor del rientro del 2016 ed anche della costosissima Coppa del Mondo di Roma in cui lo Schwazer ‘pulito’ andava più forte dello Schwazer dopato. Il presidente del CONI quasi a malincuore dice che bisogna rispettare le regole… Questo non toglie che la FIDAL del 2012 (presidente era Franco Arese) fosse colpevole come minimo di incapacità e negligenza, se poco prima delle Olimpiadi il suo unico atleta da medaglia d’oro era andato da solo in Turchia a doparsi, dopo varie ricerche su internet. Di più: la federazione era a conoscenza anche dei rapporti, mai totalmente chiariti, del marciatore con il dottor Ferrari, risalenti al 2010. Stesso discorso per i Carabinieri: di Schwazer volevano soltanto l’immagine e dopo non averlo controllato (all’ultima rilevazione i Carabinieri sarebbero militari) lo hanno scaricato in un nanosecondo.

Tragica la figura fatta da Donati, negli ultimi anni ed anche nell’operazione Netflix, e lo diciamo con dispiacere visto che tante sue denunce, sullo stesso doping e su tante altre nefandezze dello sport italiano (il salto truccato di Evangelisti, il record del mondo di Andrei, eccetera) fatte nel corso degli anni erano centratissime e documentate. Ma con Schwazer è entrato in un’altra dimensione, che nel documentario si nota oltre le sue intenzioni: quella di dimostrare di essere un grande tecnico, cosa che non è mai stato. Da qui i discorsi sulla biomeccanica della marcia, come se prima di lui Schwazer fosse stato seguito da dilettanti (Sandro Damilano su tutti), con tutto l’ardore di un uomo onesto che non riesce ad ammettere di essere stato ingannato.

In definitiva Il caso Alex Schwazer avrebbe potuto essere un film o una fiction, svincolandosi dall’obbligo di rispettare la verità (tipo Bellocchio con Moro), ma un documentario proprio non lo è. Si fa guardare da tutti noi appassionati di atletica, per vedere fino a che punto si arriva, e da un pubblico di bocca buona conquistato dalle lacrime in conferenza stampa, questo sì. Ma al di là dei soldi che Schwazer guadagna dal tutto, dove si vuole andare a parare è chiaro: difendere lo Schwazer ‘pulito’ fino all’oro dei Giochi di Pechino (che peraltro aveva frequentazioni con Conconi denunciate dallo stesso Donati pre-fologorazione) ed anche quello che andava sul camper di Ferrari, accusando soltanto quello del 2012 che voleva imitare i russi cattivi.

stefano@indiscreto.net

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