Italia-Francia 2006, la nostra penultima notte felice

26 Luglio 2021 di Simone Sacco

Nelle ultime settimane si è discusso molto – anche qui su Indiscreto – di un tema fra calcio e storia: e cioè se il recente exploit dell’Italia di Roberto Mancini ad Euro 2020 sia stato in qualche maniera paragonabile, emotivamente parlando, alle grandi imprese della nostra Nazionale. Tralasciando i lontani trionfi degli anni Trenta, vissuti dai nostri nonni per radio, il primo successo continentale del 1968 (con la final four caratterizzata dalla monetina di Napoli e dalla ripetizione della sfida con la Jugoslavia), la citatissima semifinale di Messico ‘70 e limitandosi alle sole vittorie pesanti (niente rigore sbagliato da Baggio o cucchiaio di Totti, insomma), ci si è chiesti se ci fossero grandi differenze di cuore tra Spagna ‘82, Germania 2006 e quest’ultimo crescendo di notti europee vissute tra Roma, Monaco di Baviera ed ovviamente Londra.

E il risultato, dal fondo del bar, non solo del nostro, è stato alquanto categorico: in un ideale confronto romantico, finale al fotofinish tra i ragazzi di Bearzot e i presunti outsider del Mancio, medaglia di bronzo per la truppa di Marcello Lippi, giusto perché ad una quarta stella mondiale nessuno sano di mente potrà mai dire di no. Ma come? E l’epica semifinale tutta muscoli e sentimento contro la Germania padrona di casa? E i rigori thrilling con la Francia una volta tanto favorevoli ai nostri colori? E il po-po-po-po esploso definitivamente proprio quell’estate? Tutto un grande abbaglio collettivo? O – per meglio dire – possibile che le recenti sfide ad alta tensione contro Austria, Belgio, Spagna e Inghilterra abbiano sdoganato, praticamente in diretta, un sentire comune, una gioia collettiva che Germania 2006 non ci aveva restituito a dovere?

In nostro soccorso arriva ora un bel libro firmato da Stefano Piri, giornalista nato nel cuore degli anni Ottanta, che si concentra su quanto successe esattamente a Berlino la notte del 9 luglio 2006. Tra antefatti, critiche, ottimo uso dell’archivio giornalistico più l’epocale testata di Zinedine Zidane allo sterno di Marco Materazzi (il racconto parte proprio da quel brutto gesto grazie ad una azzeccata copertina e ad un excursus nell’arte contemporanea di Adel Abdessemed) e la catarsi dei nove rigori – con errore decisivo di David Trezeguet – tirati sul prato dell’Olympiastadion.

Il titolo dell’opera è, nel momento esatto in cui vi scriviamo, già inevitabilmente anacronistico: Italia-Francia, l’ultima notte felice. Essendo uscito lo scorso giugno (e quindi molto prima della paratona di Gigio Donnarumma su Bukayo Saka…), possiede ora il sapore beffardo di quei saggi sul tal candidato alla presidenza americana, dato per favorito dai media che, nel frattempo, ha perso la sfida della Casa Bianca contro il suo diretto avversario. Rammentiamo un caso simile, in Italia, ai tempi della bagarre politica tra Hillary Clinton e Donald Trump.

Questo però non vuol dire che il libro di Piri non sia una lettura coinvolgente, non contenga pagine scritte in un ottimo italiano (qualità sempre più rara in quest’epoca) o si perda in concetti troppo astrusi a favore di ragionamenti paradossali. La tesi dell’autore, da questo punto di vista, è nitida fin dal principio: quel Mondiale – canto del cigno per la generazione anni Novanta – partì male, molto male. Segnato da Calciopoli e da un primigenio impeto populista (esemplare Beppe Grillo che, direttamente dal suo blog, chiese la testa di Lippi prima della partenza per il ritiro tedesco) che purtroppo prosegue pure ai giorni nostri.

In secondo luogo – per Piri e non solo per lui – quello fu un torneo troppo povero di emozioni (per noi) rispetto ad un Federico Chiesa che la sblocca contro l’Austria o a uno Jorginho che batte un rigore-colpo di biliardo contro gli spagnoli. In Germania la partita davvero memorabile fu solo quella di Dortmund contro i padroni di casa a dispetto di un girone eliminatorio giocato così così (sofferenza contro Ghana e USA, coniglio pescato dal cilindro contro la Repubblica Ceca quando si infortunò Nesta per far spazio ad un certo Materazzi), un ottavo contro l’Australia da incubo, un quarto bugiardo contro l’Ucraina (dove vincemmo 3-0, ma patendo per circa un’ora il forcing di Shevchenko e compagni) e una finale tutta nervi, poco spettacolare e, dal secondo tempo in poi, vinta ai punti dai francesi.

Fin qui l’onestà intellettuale del saggista Piri che rimarca anche come dal mostruoso carnevale di popolo del Circo Massimo siano nati ben quindici anni di macerie del calcio italiano. Onda lunga di un certo malaffare da tardi anni Novanta che ci ha resi debosciati ed arroganti a priori verso i campionati (in ascesa) delle altre nazioni. Come Spagna ‘82 ci catapultò giustamente nell’unico decennio davvero edonista del secolo scorso, Germania 2006 rappresentò lo spazzare la polvere sotto il tappeto in attesa del normale svolgersi degli eventi (una sola partita vinta da allora nelle fasi finali della Coppa del Mondo, il crollo delle nostre squadre di club nel ranking UEFA, il de profundis del novembre 2017 dopo lo spareggio con la Svezia, eccetera).

Davvero bello, inoltre, lo storytelling sul CT francese Raymond Domenech (definito “L’impostore” e che, nelle parole dello stesso Piri, ci fa quasi la figura di un Gian Piero Ventura rimasto al comando della panchina dei Bleus per un bieco calcolo politico), ma anche il revisionismo storico su Cannavaro rispetto allo sfortunato compagno di reparto Nesta, l’esoterismo di Zidane (che rilasciò una intervista in occasione del suo ritorno in Nazionale, nell’estate del 2005, che manco le trasmissioni di Roberto Giacobbo), le furberie diplomatiche della Germania (che, grazie all’astensionismo perlomeno sospetto del delegato neozelandese Charles Dempsey, scippò l’organizzazione del Mondiale al Sudafrica) e il riscatto esistenziale di Marco Materazzi.

Lo stesso Matrix che, con quel fenomenale gol in elevazione inflitto a Barthez, forse si lavò definitivamente la coscienza nei confronti di una gavetta alquanto difficile (Everton, Perugia, i primi anni all’Inter) e di una madre, persa in giovane età, troppo ansiosa nei suoi confronti. Per farvela breve: un libro di carattere, questo Italia-Francia, l’ultima notte felice. Come di estremo carattere fu quell’intera spedizione azzurra e lo scambio di battute tra Zizou e il nostro spilungone col numero 23.

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