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Il credito olimpico di Schwazer
Stefano Olivari 12/01/2015
Alex Schwazer fuori dai Giochi di Rio potrebbe aprire scenari imprevedibili, perché i sei mesi ulteriori di squalifica, in realtà tre già condonati per la peraltro vaga collaborazione, richiesti dalla Procura Antidoping del CONI costringeranno Schwazer (in caso di condanna) a stare fuori dalle gare fino al 29 aprile 2016. Il deferimento non riguarda il doping e l’Epo, per cui l’oro di Pechino 2008 stava già scontando la squalifica, ma l’elusione del controllo nell’ormai famosa mattina che sta costando tantissimo di più, in maniera assolutamente sproporzionata, alla sua ex fidanzata Carolina Kostner. Anche in caso di condanna prima dei Giochi ci sarebbero però comunque 3 mesi di margine, quindi al di là di quanto di dice e scrive adesso la convocazione di Schwazer (se ottenesse il minimo, ovvio, ma dicono sia già in buona forma) sarebbe totalmente a discrezione della FIDAL e del CONI. E come negare la chance olimpica, cioè l’unica cosa che conta, a uno che ha asserito di avere ideato e messo in pratica da solo il progetto di doparsi?
Sebastian Coe è in piena campagna elettorale per la presidenza della IAAF, la sua elezione è l’ultima speranza sia per chi sogna un’atletica più pulita sia per chi vorrebbe che questo sport tornare ad una dimensione più umana e in definitiva più vicina al suo spirito. Non vogliamo dire un ritorno all’epoca di Momenti di gloria, del resto lo stesso Coe è stato ai suoi tempi un superprofessionista, ma un ritorno a quei valori che la differenziano (differenziavano?) da tutti gli altri sport. In piena stagione crossistica, poco prima delle Great Edimburgh di sabato, il campione olimpico di Mosca e Los Angeles nei 1500 è tornato a proporre la corsa campestre ai Giochi, di cui peraltro ha fatto parte tre volte (vittorie di Kolehmainen e due volte di Paavo Nurmi, non pizza e fichi) in tempi antichi. Potrebbe tranquillamente essere associata a quelli Invernali, vista la sua stagionalità, ma anche a quelli Estivi in previsione di un taglio delle gare olimpiche non soltanto nell’atletica (rischiano grosso il salto triplo, il lancio del martello e la 50 chilometri di marcia, secondo alcuni anche i 10.000). Difficile dargli torto, se il criterio di ammissione deve essere quello della diffusione globale di una gara.
Poche statistiche sono discutibili come quelle riguardanti la maratona, ma avere tirato giù la saracinesca sul 2014 impone almeno un piccolo bilancio, utilizzando i numeri ufficiali della IAAF: e quindi? In campo maschile, assegnando agli africani tarocchi di Bahrein o Qatar il loro vero passaporto il primo non africano è al settantesimo posto: onore al giapponese Kohei Matsumura e al suo 2:08:09. Il primo europeo vero è il britannico Mo Farah (che come atleta è al 100% inglese), il primo italiano è Daniele Meucci con il suo 213esimo posto in virtù del 2:11:08 che gli ha dato l’oro europeo a Zurigo. Questo il link per soddisfare tutte le curiosità, di nostro aggiungiamo che scrivere di ‘sogno olimpico’ per Meucci significa preparare il terreno agli ignoranti che in coda al telegiornale leggeranno una nota di agenzia del tipo ‘L’azzurro Meucci solo ventesimo a Rio’. Un risultato migliore anche di poche posizioni, nella maratona di oggi, sarebbe una grandissima impresa. Ma andatelo a spiegare a chi esulta per una semifinale nel fioretto a squadre, con il torneo che parte dai quarti e un’universalità della disciplina leggermente diversa. Anche fra le donne domina sempre l’Africa, con i soliti Kenya ed Etiopia che ormai stanno generando sospetti nel loro stesso continente, ma il resto del mondo almeno pratica lo stesso sport anche perché le migliori sono ben lontane dai tempi estremi di qualche anno fa: Valeria Straneo è 33esima 2014 e considerando il reale campo di partecipanti in Brasile varrà al massimo delle sue possibilità di quarantenne almeno un decimo posto. È una prospettiva fantastica, perché nel mondo si corre dappertutto, ma la logica anche giornalistica del medaglificio non le renderà giustizia.