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Il piazzamento dell’Italia parastatale
Stefano Olivari 24/06/2015
Il livello medio della fu Coppa Europa di atletica raramente, diciamo pure mai, è stato basso come nello scorso fine settimana in Russia (Cheboksary). Ma quello che rimane nella testa di chi legge solo i titoli dei giornali è che l’Italia ha ottenuto un buonissimo sesto posto, a tre punti da uno ‘storico’ (si fa per dire, la formula attuale è stata implementata nel 2009) quinto, nonostante la squadra abbia dovuto fare a meno di elementi importanti. E con due vittorie insperate, di Donato (sorpresa per via delle condizioni fisiche, infatti aveva in canna un solo salto) nel triplo e di Benedetti negli 800. Quindi l’atletica italiana è la sesta forza europea? Bella forza, verrebbe da dire, visto il solito trucco dei gruppi militari che scarica sullo stato italiano costi che nelle altre undici nazioni partecipanti sono coperti da privati o proprio non coperti, mentre il ruolo delle federazioni al di là delle diverse forme di finanziamento (dalle lotterie UK ai trasferimenti diretti dello Stato nella terra dei cachi) è invece simile. Diventano quindi logici i piazzamenti in coda delle nazioni scandinave, dove il welfare vale per i cittadini ma non per chi corre in pista. Perché gli atleti di stato inquinano poco i risultati ad alto livello (Lavillenie guadagna come un calciatore, fra sponsor personali e indotto) ma lo fanno invece tantissimo con quelli da piazzamento, quindi da Campionato Europeo per Nazioni. Il sesto posto è quindi un piazzamento da compitino o poco più. Questo non toglie che in alcune gare si sia davvero avvertita aria nuova (Giulia Riva nei 200 ha fatto vedere margini) nonostante il solito assurdo timore di ‘bruciare’ i giovani (la Zenoni avrebbe avuto già cittadinanza questo livello, invece era ai campionati italiani Allievi dell’Arena), ma troppo poca per giudicare vivo un movimento che smesso di vendere etica ed epica, proponendo soltanto onesti posti di lavoro. Peccato, perché l’atletica è così dentro gli esseri umani da resistere anche a una manifestazione con sessioni lunghissime e scaccia-pubblico generalista, da oltre quattro ore l’una e con il solito orrore (forse dal 2018 una riforma) delle due serie fino ai 400 metri compresi: l’ultima parte di domenica, su RaiSport Due, ha avuto uno share medio del 3,44%: roba da talk show su uno dei primi sette canali del telecomando e non del numero 58, nonostante per il grande pubblico fosse una specie di festival degli sconosciuti.