Grande depressione

28 Marzo 2008 di Stefano Olivari

1. Il était un Fois, c’era una volta il dilettante allo sbaraglio del Valle d’Aosta 1995, quello con Stefano Faustini, Marco Della Vedova, Vitaly Kokorine e Oscar Camenzind. Dei cinque si magnificavano le sorti progressive dei primi quattro, capocordata lo scalatore bergamasco: lui e quei suoi rapporti impossibili spinti fino al limite e oltre, oltremodo redditizi tra gli under 23. Al contrario non si dava troppo credito allo svizzero, che puntualmente passò all’incasso tra i pro (Mondiale, Lombardia e Liegi). Gli altri precipitarono presto nell’anonimato, chi più chi meno. Valentino meno, la sua immagine faceva ancora moda, molto fashion e poco provincia. Fu così che al palmarès si sovrapposero i referti tossicologici e pure i verbali di polizia. Le chiacchiere di paese sottintesero vere e proprie leggende metropolitane, mi ha detto mio cuggino dell’amante d’Inzaghi e del pusher di Vieri. Finale da depressione nonostante la famiglia, l’amico Tonkov e il lavoro con Fanini. Opere di bene e niente serviziacci a “Le iene”, oggi o domani. Per favore, pietà.
2. Non è uno scandalo ma ha comunque del clamoroso, la passaportopoli del più incredibile (o meno credibile) degli sport professionistici, ancora quello del 50% massimo d’ematocrito, minimo fino a una decina d’anni fa. L’Agenzia mondiale anti-doping non vuole finanziare alla Federazione ciclistica internazionale gran parte della spesa necessaria per l’introduzione del nuovo sistema sanitario e di controlli, a tutela della salute personale dell’atleta. In soldoni fanno il grosso dei 5,3 milioni di Euro annuali preventivati dall’Uci per delineare profilo ematologico e steroideo di ciascun tesserato, passaporto biologico alla mano. Operazione delicata, programma completo di quasi diciottomila test sangue e urine vicini e lontani dalle competizioni. E invece nemici come prima, la storica Wada dell’ex Dick Pound (adesso di John Fahey) e il solito Pat McQuaid, per gli annali non un finissimo diplomatico. Tutta colpa di una causa pendente tra le parti per ingiurie e danni d’immagine, roba da ridere se non ci fosse da piangere: a quando l’anti-doping pagato alla romana?
3. Sul palco della Sanremo Fabian Cancellara avrebbe potuto ringraziare – nell’ordine – madre natura, i suoi padrini Riis e Cecchini, la frana di Capo Noli, Bruseghin che fa fuori Napolitano sulle Mànie, i Liquigas che riportano dentro tutti tra Cipressa e Poggio. Ma non l’ha fatto, giustamente orgoglioso com’è. E non tanto della “storica tripletta Eroica-Tirreno-Classicissima” (la Corsa dei due mari ha quarantadue anni, la Mps è alla seconda edizione): quanto della condizione raggiunta in questa stagione, bilanciando peso e potenza. È come scattato qualcosa, nel meccanismo del cronoman nato sotto la Torre dell’orologio, il 18/3/1981. A primavera è sbocciato un corridore. Ora, quali sono i traguardi che gli sono effettivamente preclusi, di questo passo? Forse solo Liegi, grandi giri e Lombardia. Per il resto la differenza l’ha fatta una corsa lunga e dura come non mai, facile nel suo svolgimento proprio perché difficile nel tracciato. Ha vinto il migliore, come (quasi) sempre alla Roubaix e come (non) sempre dove perde chi perde l’attimo. Pozzato, per esempio.

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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