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Gli sbafatori, fascino del giornalismo gratis

Indiscreto 14/10/2015

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Il momento più esaltante delle conferenze stampa è di solito quando finiscono, una volta esaurita la prassi delle domande-assist dei presunti giornalisti presenti in sala, con immediato assalto al buffet. È anche un’autodenuncia, ricordando l’immortale frase di Bob McAdoo: “Never refuse a free meal”. Ma per i giornalisti che si occupano di enogastronomia tutto ovviamente avviene a livelli quantitativi e qualitativi più alti, fra consumazioni sul posto, viaggi pagati, iniziative para-culturali e prodotti inviati a casa. È questo il mondo che fa da contesto a Gli sbafatori, l’ultimo romanzo di Camilla Baresani, che il mondo del food lo conosce bene essendo una dei pochi critici con il coraggio di azzardare pareri negativi sulle creazioni degli chef, sempre di default geniali, creativi e capaci di rivisitare i piatti della tradizione, in un ambiente elegante ma familiare e sempre in in tripudio di sapori. Ha fatto epoca, per dire dello standard abituale, una sua recensione scritta per il Sole 24 Ore riguardante il Gold di Milano, il ristorante di Dolce & Gabbana. I due permalosi stilisti invece della solita querela, ormai minacciata anche dall’ultimo dei pizzaioli, avevano promesso di togliere la pubblicità al giornale per poi rabbonirsi dopo una recensione riparatrice (non della Baresani). Per la cronaca il ristorante è adesso di Filippo La Mantia

La protagonista del romanzo è Rosa, giovane free lance di Brescia che sopravvive a Milano scrivendo di ristoranti ed iniziative enogastronomiche: spende niente, perché mangia gratis e le regalano formaggi e prosciutti, ma soprattutto guadagna pochissimo perché si dà per scontato che gli articoli su cibi, vini e ristoranti siano tutti marchette. Nel mondo del food ad avere svoltato sono soltanto pochi grossi nomi, quelli legati a guide o trasmissioni televisive, tutti gli altri sopravvivono smarchettando e frequentando alberghi che non potrebbero permettersi se i soldi fossero i loro e non quelli di produttori, aziende di soggiorno e sponsor vari. Uno di quelli che hanno svoltato è il maturo Guidobaldo, che diventa amante di Rosa e la introduce in un mondo dove l’apparenza coincide con la sostanza: non importa se il tuo blog ha nove lettori, se nell’ambiente si inizia a credere che tu sei importante allora diventi immediatamente importante. La storia ha sviluppi e situazioni molto divertenti, che la Baresani sa tratteggiare come una persona che ha vissuto da entrambi i lati della barricata, con tantissimi personaggi in cui gli addetti ai lavori si riconosceranno di sicuro. In maniera non diversa, aggiungiamo noi, funziona nell’economia, nel tech, nella moda e nei pochi altri settori in cui si può vendere qualcosa.

In realtà la Baresani può parlare del circus dell’enogastronomia con il giusto distacco, visto che scrive di più argomenti e che i suoi libri vendono bene (letti il brillante Un’estate fa e l’angosciante Il sale rosa dell’Himalaya). Amare le considerazioni su web e blogger: praticamente chiunque può definirsi giornalista, praticamente nessuno può vivere di giornalismo. Il tono del romanzo è leggero e mai volgare, quindi baresaniano, ma la sostanza è pesante, con domande sottintese ma non troppo. Chi si occupa di certe materie può definirsi un giornalista? Ma soprattutto: il pubblico è davvero interessato a leggere qualcosa di critico, con cui magari non è d’accordo, o preferisce soltanto sognare? Le risposte che dà Camilla Baresani, senza la seriosità da convegno sul futuro dei media, sono chiare. Ma per chi proprio volesse far parte di questo mondo ci sono nel finale consigli di sopravvivenza in alcuni punti geniali. Al punto che terminato il libro viene voglia di aprire un blog di cucina e lifestyle, pensando che sia un’idea innovativa.

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