Editoria

Etica dell’Ad blocking

Indiscreto 26/08/2015

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Un articolo de Il Post sulla morte del display advertising, cioè in sostanza i banner che vedete su questo e altri siti, purtroppo ben nota a tutti gli sfigati che lavorano sul web dalla prima ora o quasi (noi dal 1997), ci ha portato a leggere una riflessione del New York Times su quella che potremmo tradurre come etica dell’Ad blocking. In sostanza una discreta parte (più del 15%, ma proprio un 15% molto interessante dal punto di vista pubblicitario) dei lettori di siti web per sfuggire alla lentezza di caricamento, più che per cattiveria o scrocconaggine nel DNA, usa un programma per bloccare banner pubblicitari, tracciamento della propria navigazione e spesso anche video o immagini a prescindere. Con grande beneficio di tempo e anche finanziario, per chi non ha tariffe flat, ma una perdita secca per chi questi siti tiene in piedi con il proprio lavoro. Senza entrare nel merito della qualità di ciò che si scrive, dagli scenari sullo yuan alla posizione di Padoin (o Padoan, è lo stesso), perché se uno sta leggendo un sito è evidentemente perchè gli interessa. Potrebbe farne a meno, certo, come del resto anche della pizza o di un vestito che però mai si sognerebbe di pretendere gratis. Con il paradosso che chi vende o quasi regala software di ad blocking spesso fa i soldi veri aiutando grandi inserzionisti pubblicitari o grandi concessionarie ad aggirare il suo stesso software. Come per la prostituzione, l’offerta può essere più o meno interessante ma a decidere è in ultima analisi la clientela con l’importanza che attribuisce al prodotto. Facendo un paragone non tanto azzardato con il giornalismo, la maggioranza preferisce farsi una sega gratis che pagare una escort di grande professionalità. Qualcuno in più però pagherebbe la escort se questa non ti tenesse d’occhio costantemente anche ‘dopo’, continuando a consigliarti sue colleghe anche quando non sei interessato.

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