Dietro alle domande intelligenti

3 Febbraio 2007 di Roberto Gotta

MIAMI – Il ricordo più bello della giornata del venerdì al Super Bowl, in una Miami Beach dal caos incrementato per la presenza della grande partita e del suo contorno, è quello della signorilità e della compostezza con cui i due allenatori, Lovie Smith per i Chicago Bears e Tony Dungy per gli Indianapolis Colts, hanno risposto alle domande di alcuni tra le centinaia di giornalisti presenti in uno dei grandi saloni del Miami Beach Convention Center. Pur se è brutto vizio collegare sempre fatti di quaggiù con quelli italiani (tanto più in queste ore), il confronto con le conferenze stampa di troppi allenatori nostrani, scostanti, insofferenti, ostili, è tragico, e non è che qui, ovviamente, non si tenga alla partita, ma è proprio radicalmente diverso il concetto di contatto: e non è forse casuale che anche il 90% delle domande che viene fatto sia intelligente, per do ut des che produce effetti benefici per la psiche di tutti. Il fatto poi che Smith e Dungy siano amici da anni, da quando il secondo assunse il primo nel suo staff a Tampa Bay, ha aumentato il livello di serenità (a soli due giorni dalla partita più importante delle rispettive carriere…), dato che si è visto persino un abbraccio tra i due appena dietro al trofeo del Super Bowl che, come tradizione, assieme ai caschi delle due finaliste (trattati in guanti bianchi, come vedete dalla foto) ha rappresentato una brillantissima cornice alle due conferenze stampa e a quella del Commissioner Roger Goodell, alla sua prima apparizione sullo scenario più atteso dell’anno, ma pulitamente a suo agio anche perché in 25 anni di NFL (primo incarico: distribuire i pass stampa) non è che non ne abbia viste di tutti i colori. Qualche imbarazzo, ma risposte franche, quando è stata tirata in ballo l’accusa rivolta proprio ieri da Ted Johnson, linebacker dei New England Patriots fino al 2005 (tre Super Bowl vinti), al suo coach, Bill Belichik, di averlo costretto a sessioni di contatto pieno in allenamento nonostante il parere contrario del medico della squadra, dal momento che Johnson si stava riprendendo da un trauma cranico. Ora Johnson, per sua stessa ammissione, ha vuoti di memoria, si dimentica degli appuntamenti e soffre di una forma di depressione e dipendenza dalle anfetamine, a suo dire originata proprio dalla decisione di Belichik di non ascoltare il medico. Non è ancora nota la reazione del coach dei Pats, personaggio seriosissimo, ma l’episodio non è sorprendente, visto che nel mondo del football è abituale che si chieda ai giocatori, anche per dimostrare il proprio machismo, di scendere in campo anche infortunati. Quando però si parla di trauma cranico il discorso cambia, e non è ammissibile giocare con la salute di nessuno, ecco perché è possibile, una volta passato il Super Bowl, che della vicenda si torni a parlare e la NFL faccia qualcosa, dopo avere già annunciato l’accordo con l’associazione giocatori per una maggiore severità nei controlli antidoping. Intanto, è ufficiale la notizia della partita Dolphins-Giants a Londra, nuovo stadio di Wembley, 28 ottobre prossimo alle 18 inglesi. L’accordo con la proprietà dello stadio è stato concluso solo nella tarda serata di giovedì, ma il sindaco di Londra Ken Livingstone era a Miami per la conferenza stampa ed ha ribadito il suo entusiasmo, anche se ha provocato qualche imbarazzo (lo chiamano del resto Ken il Rosso, contento lui…) ribadendo l’auspicio, traduciamo liberamente, che il grande popolo americano elegga rappresentanti più degni (silenzio in aula…).

Roberto Gotta, da Miami
chacmoool@iol.it

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