Cavendish primo al concessionario

26 Settembre 2011 di Simone Basso

di Simone Basso
Vorremmo stupirvi con effetti speciali, ma non lo faremo perchè manca la materia prima. La quinta sinfonia iridata a Copenaghen, la sesta se considerassimo anche la vernice dei puri (1921), è un vezzo Uci benedetto dalle circostanze ambientali di quel luogo. Deputato a un uso di massa delle pedivelle e quindi avanguardistico rispetto a un mondo che insiste, perverso, con i tubi di scappamento.  Mettete poi, in conto, i sei milioni di euro che l’organizzazione danese ha offerto ai velobanchieri di Aigle. Non basta però un arrivo al cinque per cento di pendenza, per cinquecento metri, a farne una competizione tecnicamente valida.
Nemmeno schierare i ras del plotone quasi al completo e un pubblico da grandi occasioni, bellissimo, che ha gremito le strade della contesa. La kermesse, di questo si trattava, arriva al termine di un 2011 di altissimo livello: almeno tre classiche monumento sono state sontuose (Sanremo, Ronde e Doyenne), il Giro malgrado tutto ci ha sorpreso e la Grande Boucle ha vissuto un’edizione storica, da tramandare ai posteri. Ci stava anche un mondiale con un percorso banale, cretino, che non poteva non essere dominato dalle ruote veloci del gruppo: solo saltando su una motocicletta del seguito, i vari Gilbert e Cancellara avrebbero potuto evitare lo sprint di massa. Perchè, come affermavano i saggi già mezzo secolo fa, la differenza si può fare quando il tracciato limita le alte velocità. Uscire dal gruppo ai quaranta orari è possibile, pensare di riuscire a tenere lontano una muta di inseguitori ai cinquanta è roba da fantascienza di bassa lega, stile Ron Hubbard.
Dunque si è imposto il migliore sprinter del mondo: curioso osservare che sul podio sia salito il treno Htc dell’anno scorso, meno banale considerare il lavoro di squadra (favoloso) del Regno Unito. Avere gregari come Wiggins, Millar, Thomas è stato fondamentale; la ciliegina sulla torta, che spiega anche l’ultima goccia di sudore spesa daI britannici, sarà l’annuncio della firma del neo campione del mondo con Team Sky. Per Cannonball il trionfo di Rudersdal è già il settantanovesimo in carriera; a ventisei anni, nel ciclismo moderno, è roba da eletti. L’eccellenza mostrata ieri è la cartina tornasole del suo talento. In una volata confusa, privo di pesce pilota, sul rettilineo finale si è fiondato a destra, tra Goss e le transenne. Infilandosi, da acrobata, in un corridoio inferiore al metro di larghezza avrebbe potuto urlare, in un’esplosione di doppi sensi: “Pista!”. Trattasi dell’attimo fuggente che chiarisce gli istinti da fuoriclasse del soggetto; l’esoscheletro di Robbie McEwen, funambolo dalle fibre feline, e il motore potente, straripante, di Djamolidine Abdoujaparov. Una combinazione letale per la concorrenza. Bel personaggio Mark Cavendish, vagamente lunatico, con la tendenza a parlare nella stessa maniera nella quale pedala: tanti nemici, tanto onore. Figlio di un’isola, quella di Man, che con il Tourist Trophy, ovvero il motociclismo prima dell’avvento funesto della Dorna, vanta Mercurio nel codice genetico. E per rimanere al latinorum, proveniendo dall’insula Mona, si accompagna a sirenette niente male…
Non abbiamo altro da aggiungere sulle dinamiche, evidentissime, della settimana in Scandinavia: confermano ciò che sosteniamo da tempo sul movimento tricolore.
Francia, Australia, Stati Uniti e Gran Bretagna domineranno nei prossimi anni; tutte scuole che applicano metodi più moderni (e puliti) dei nostri, ancorati alle glorie dei decenni passati. Preferiremmo un cittì meno confuso e infelice del Bettini, incapace di difendere l’unico corridore possibile medagliato (Alessandro Petacchi) e che, nemmeno un mese fa, aveva dichiarato che il mannese non sarebbe stato competitivo su un traguardo del genere. Non sappiamo dove fossero quest’anno, lui e Di Rocco, quando si correva il Tour de France; però a Cap Fréhel, quinta frazione, si arrivava su uno strappetto. Primo Cavendish, secondo Gilbert, terzo Rojas.
The Fastest Man On Two Wheels porterà benissimo l’arcobaleno sul petto, anche se d’ora in poi (con quella maglia) dovrà evitare, sulle salite durissime del Giro e del Tour, la tentazione di spingere le vetture in panne…
Il cannone è già puntato su Londra 2012, obiettivo cinque cerchi, da preparare alle pendici del Montalbano. L’erede scavezzacollo di Tommy Simpson abita infatti, al pari di tanti professionisti stranieri, in Toscana. A Quarrata, nel pistoiese, per la precisione, dove ha trovato i consigli di Maximilian Sciandri, eccellente corridore dei Novanta, apolide per nascita e scelta di vita. Un’amicizia che fa parecchio “Amici miei”, con un’aneddotica bischera il giusto per concludere questo articolo.
“Ultima vigilia di Natale: Cav mi aveva convinto a comprare un’auto, che proprio quel giorno era pronta al concessionario di Livorno. Ci sentiamo al telefono e decidiamo di andarla a prendere in bici, con gli zainetti sulle spalle. Sono centoventi chilometri, si poteva fare. Partiamo dopo pranzo. Alle due il tempo si fa brutto e chiama l’uomo della concessionaria: il giorno dopo è Natale e lui alle quattro e mezza chiude bottega e se ne va. Facciamo due conti, rischiamo di andare fuori tempo massimo. Cav si mette davanti e tira a tutta per un’ora e mezza, io a ruota con fatica. A un certo punto arriva il diluvio, con tanto di sottopassaggio allagato dove ci tuffiamo dentro. Ai trenta all’arrivo…dal concessionario, entro in difficoltà, ai venti in crisi, ai quindici mi pianto. Fermo, morto, finito. Dico a Cav di andare da solo a ritirare lui la macchina. Parte come per una cronometro, ma quando arriva (stravolto anche lui) il tipo gli dice che senza la mia firma non gliela può dare. Per farla breve, ho fermato un ragazzo ucraino con un camioncino e mi sono fatto portare sul posto. Alla fine io e Cav ci siamo messi a dormire in macchina. Poi abbiamo riso fino a Capodanno…” (da un’intervista a Max Sciandri, Cycling Pro, Marzo 2011)

Simone Basso 
(26 settembre 2011)

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