Effetto parrocchia, effetto boomerang

30 Giugno 2015 di Simone Basso

Sabato scorso, Tricolore sul Colle di Superga, per un attimo, sport ricco e sport povero si sono incrociati. Una corsa di alto lignaggio, vinta dalla maglia gialla 2014, su un percorso difficile e suggestivo. Dal vivo, dalle parti della Basilica, l’organizzazione era ai minimi termini: nemmeno uno schermo gigante per gli appassionati, macchine parcheggiate senza criterio, cellulari isolati, transenne insufficienti. Nessun account twitter per seguire l’evoluzione della gara, un buttafuori da discoteca che faceva il pierre (!) e la ciliegina sulla torta dell’antid****g difettoso. Mancavano tre kit per il prelievo ematico e gli atleti sorteggiati hanno dovuto aspettare: Nibali è uscito dal controllo alle 18 e 45, Zilioli addirittura quattro ore dopo la fine della competizione… Il vero miracolo italiano sta nel mistero di come una Federazione allo sbando, di dilettanti, possa ancora produrre i Nibali e gli Aru. La tivù ha completato il disastro: le telecamere mobili ballavano e la regia brillava per incompetenza; i replay, nei momenti caldi della contesa, cancellavano le azioni decisive in diretta. Immagini prive di una segnalazione grafica del chilometraggio e appesantite da commenti fastidiosi, approssimativi e zeppi di enfasi precotta.

Quando assistiamo a certi spettacoli, ci soccorre la saggezza di Aldo Giordani. Che, nel bel mezzo del boom catodico del basket (anni Ottanta), si chiedeva se tutta quella esposizione giovasse alla promozione dello sport stesso. Mister Pressing amava ripetere l’esempio del rugby: il paragone tra lo scenario dell’allora Cinque Nazioni a Twickenham, un Inghilterra-Scozia, valore agonistico compreso, e le partite del campionato italiano davanti a quattro gatti. Servono all’atletica leggera azzurra, alla sua diffusione, le riprese – desolanti – di certi meeting casalinghi? Non è che la visione traballante di una manifestazione produca un effetto boomerang? Ci si abitua all’Nfl e al Tour de France, a Wimbledon e all’Nba: massime espressioni planetarie del professionismo sportivo, pensate in televisione (e sulla rete) attorno a un racconto della vicenda e con mezzi e conoscenze specifiche degne di un blockbuster. Un punto di vista iperspecializzato, che mette assieme cinema, documentario e giornalismo, e che consente una reazione immediata alla sceneggiatura – improvvisata, jazzistica – dell’evento. I confini che separano il pressapochismo dalla competenza a volte sono labili, se persino i diritti di una Copa América di calcio vengono svenduti per poche migliaia di euro. La (bella) vittoria di Sassari nella Serie A cestistica ha una doppia lettura, bipolare: una sfida emozionante e sul filo, ascolti incoraggianti, etc. Eppure il prodotto televisivo, in sè, era alquanto mediocre e il livello tecnico delle contendenti mai così scarso. Trent’anni fa chi si giocava la Spaghetti League era quasi sempre più forte dei vincitori delle coppe europee, sempre che non fossero le stesse formazioni (italiane). Oggi, le distanze tra l’elite dell’Eurolega e una Sassari sono incolmabili. Occorre ribadirlo, per non vivere nell’illusione della parrocchia che si ostina a fissare il dito al posto della luna.

Manolo è tornato. Nei bassifondi di una squadra under 23, con al fianco due fedelissimi dell’epoca d’oro, Herminio Diaz Zabala e David Etxebarria, ma è tornato. Il cattivo, nella Commedia dell’Arte di quel ciclismo, aveva lo sguardo furbo e le guance paffute di Saiz. Deus ex machina della Once, poi Liberty Seguros, e puparo di tante cose nel circo pro: dal codice etico (…) del primissimo Uci World Tour ai viaggi della salute nell’ospedale madrileno de La Princesa; scopritore di talenti e tecnico sopraffino nella preparazione delle cronometro. Il suo sistema implose con lo scoppio dell’Operacion Puerto, che implementò dinamiche che avrebbero comunque garantito un salvacondotto alla banda. Siamo stati tra i pochi che, due anni e mezzo fa, hanno seguito le vicende processuali di questa fotta spagnola, bunueliana al cento per cento. Un dibattimento nell’indifferenza del pubblico e dei media locali, con l’eccezione di Carlos Arribas di El Pais. La messinscena era allestita per comprendere se le sacche di sangue fossero state conservate bene: per la legge spagnola, ai tempi dei fatti (2006), il d****g non era punibile. La recita di Manolo, l’architetto del piano, che nell’aula del tribunale filosofeggiava sul ciclismo, fu quasi disturbante. Eufemiano Fuentes, il ginecologo che fungeva da collettore e impresario, rivelò il suo talento attoriale per le deposizioni. Surreale il racconto delle lattine di Coca Cola usate a mo’ di radiatore, per raffreddare le borse con le sacche di sangue. Ancor meglio nel passaggio chiave della farsa, quando dichiarò alla Wada la sua disponibilità nel rivelare la lista completa dei nomi. Il giudice Julia Santimaria, stabilendo che il processo doveva riguardare solo i ciclisti già identificati, sigillò il caso. L’insabbiamento politico e l’assoluzione della ciurma erano già nella sceneggiatura. La difesa beffarda di Fuentes, concordata con le alte sfere, l’avrebbero potuta smontare i medici che si occuparono – sul campo – del programma. Uno, Alberto Leon, si suicidò all’incipit dell’Operacion Galgo. L’altro, Jose Luis Merino Batres, sviluppò una forma di Alzheimer e divenne dunque non interrogabile. Altra scenetta tragicomica la sessione di Yorek Olaf Schumacher, ematologo di fama internazionale: che non riuscirono a tradurre, perchè l’impiegato preposto al compito non conosceva l’inglese. Seduta rinviata.

Non che ci volesse Martin Beck per individuare il canovaccio. La sigla RSOC nascondeva il filone che non doveva emergere: la Real Sociedad andava da Fuentes, anzi Jose Luis Astiazaran. Nomignolo “Asti” nei pagamenti in nero (quattro milioni di euro?): capo della Liga fino al 2013, nonchè il vicepresidente della Federazione dal 2005 e membro della Fifa. La Polizia tedesca, in un’indagine postuma, intervistò Jaksche e chiese insistentemente se avesse usufruito di un trattamento a Francoforte nel Giugno 2006. “Bella” rispose che era altrove e capirono che quei traffici si rivolgevano alla Coppa del Mondo di calcio. Il ciclismo armstronzesco, usato come paravento, e le ombre cinesi di calciatori, tennisti, mezzofondisti, piloti… Il raid avvenne il 23 Maggio, duecento le sacche in deposito.
La notte del 19, al Giro d’Italia, Marcos Serrano (uno dei corridori di Saiz) rischiò di morire: lo trasportarono, in gravi condizioni, all’ospedale. Solitamente il metodo funzionava: usavano un crioprotettore per impedire che i globuli rossi scoppiassero e un conservante per non danneggiare il sangue. Prelievo, centrifuga per separare la parte solida dal plasma liquido, glicerolo onde evitare la cristallizzazione delle cellule dei globuli rossi e sangue congelato nella parte solida per garantire trent’anni (!) di stoccaggio a meno ottanta centigradi. “Invia in Siberia” dicevano nel gergo cifrato, ovvero l’utilizzo di due Haemonetics ACP-215. L’offerta base per i clienti era dai 6000 ai 10000 euro, i migliori – seguiti passo dopo passo – pagavano dai 50000 ai 70000 all’anno. Il buen retiro di Manolo, prima dell’Aldro, sono stati il mestiere di ristoratore a Torrelavega e quello di direttore sportivo del Racing Santander futbalistico. Il prossimo 30 Agosto, in occasione della partenza della nona tappa della Vuelta proprio in Costa Blanca, ha promesso una festa per presentare l’equipe. Il Giro di Spagna è dell’Amaury, prevediamo un po’ di imbarazzo nella carovana quella mattina. Male che vada, Saiz si consolerà col ristorante. A noi invece Manolo non potrebbe offrire nemmeno un cochinillo: siamo vegetariani.

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