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Atari? Magari!

Marco Lombardo 10/09/2012

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C’è stato un prima e sicuramente un dopo, ma quel gennaio del 1982 è stato un punto nella storia. Sono bastati venticinque centesimi di dollaro, un quarter, e un videogame a cambiare il futuro, perché 30 anni fa l’era tecnologica era roba da libri di fantascienza. Steve Juraszek, a suo modo, potrà dire di essere entrato nell’immortalità passando per la copertina di Time Magazine, ovvero quella che ai tempi era destinata solo a presidenti degli Stati Uniti o ad attori famosi. Ma quel giorno Steve aveva solo 15 anni e non poteva sapere: infilò il suo quarto di dollaro e cominciò semplicemente a giocare. Prima la storia raccontava – ma neanche tanto – del sogno di un gruppo di hippy che voleva cambiare il mondo colonizzandolo con la libertà del sapere digitale. Venivano insomma più o meno tutti in sandali con quell’area stile Woodstock e abitavano nella Silicon Valley e mentre Steve Jobs e Bill Gates cominciavano a farsi la guerra a colpi di chip, il resto del pianeta aveva cose più importanti che fermarsi a sentirli. Computer, videogame: cioè?

Eppure già nel settembre 1971 alla Stanford University era stato messo in funzione Galaxy Game, un videogioco che funzionava previo inserimento di una monetina. E due mesi dopo, Nolan Bushnell e Ted Dabney ultimarono Computer Space, considerato il primo «arcade» non meccanico prodotto su larga scala, ovvero 1500 esemplari che non ebbero successo per l’elevata difficoltà e quindi perché i quarter, in pratica, finivano troppo in fretta. Così Nolan decise di fare da solo e inventò il primo grande successo dell’industria dei videogame: era il 1972 quando Pong  fu confezionato in 19.000 cabinati e, soprattutto, fece nascere il mito della Atari. Con due astine e un punto.

Il punto della storia insomma, perché quando ormai la rivoluzione si stava compiendo ecco arrivare Steve Juraszek per infilare il quarto di dollaro, e come sempre le cose che cambiano il futuro succedono dove meno te lo aspetti. In questo caso era in una sala giochi di Mount Prospect, Illinois, e il ragazzino stava affrontando una partita di Defender, il nuovo gioco della Atari che con 55.000 postazioni già vendute aveva battuto i record del settore e nel quale un’astronave doveva evitare gli alieni abbattendoli con di missili. «Quando persi il mio primo razzo spaziale erano già passate sei ore – racconta oggi Juraszek -: praticamente non me ne ero neanche accorto, però ad un certo punto vidi che la gente si stava radunando intorno a me. A quel punto cominciò il passaparola, qualcuno chiamò i giornalisti e arrivarono persino delle persone che mi portavano da mangiare. Intanto io giocavo».

Tomaso Walliser, autore dell’approfondita e bellissima docufiction 8 bit generation – anticipata al Festival delle Storie di Alvito e che presto sarà disponibile in un cofanetto di dodici dvd da un’ora per ricordare l’inizio di un’era incredibile – ha intervistato Steve nella sua casa di oggi, con un Defender in una stanza che resta imperituro totem di un momento irripetibile. «La partita finì dopo 16 ore e 34 minuti, ero assolutamente più senza energia. Non ho mai voluto riprovare a giocare così a lungo». Ecco comunque che quel record del mondo – 15.963.100 punti – lo portò appunto sulla copertina di Time, e in quell’esatto momento il mondo si accorse che, forse, gli alieni eravamo noi.

Così, adesso, 30 anni dopo quel giorno, pur tra gli uomini del futuro, Atari resta l’inizio di tutto. Chi ha una certa età ricorda persino lo slogan italiano («Atari, magari!») che lo faceva sognare da bambino, chi invece non riesce a scacciare la nostalgia potrà d’ora in poi ringraziare Microsoft che ha annunciato il lancio di «Atari Arcade», ovvero la riedizione di otto grandi classici con – appunto – Pong, Asteroids, Missile Command, Combat, Centipede, Lunar Lander, Super Breakout e Yar’s Revenge, rieditati e ottimizzati per Internet Explorer 10 e il nuovo sistema in arrivo Windows8 (ma giocabili anche su IE9 e Windows 7) e con Defender sicuramente uno delle altre decine di titoli che verranno rilasciate nel prossimo futuro. Perché in definitiva il sogno di Steve oggi è diventato una realtà (virtuale e reale) di videogame in versione 3D con suono stereofonico, ma in fondo, anche se le monetine sono ormai quasi sparite, la speranza di poter cambiare il mondo con un quarto di dollaro – quella sì – non passerà mai di moda. E talvolta è talmente facile da sembrare un gioco da ragazzi.

Marco Lombardo (per gentile concessione dell’autore, articolo pubblicato sul Giornale dell’8 settembre 2012)

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