Videogiochi

Balance of Power e il destino del mondo

Paolo Morati 04/03/2022

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Quando nel 1985 Mindscape lanciò sul mercato Balance of Power conquistò fin da subito i favori della critica. Un gioco dal sottotitolo eloquente, Geopolitics in the Nuclear Age, e che aveva la particolarità di metterci nei panni del presidente degli Stati Uniti o del segretario generale dell’Unione Sovietica. Obiettivo: far crescere il prestigio del proprio paese, quindi la sua sferra di influenza, in 8 anni, senza scatenare una guerra temonucleare.

Dettagliatissimo nelle opzioni strategiche a disposizione, basate anche su tutta una serie di informative e notizie che permettevano di avere un quadro puntuale di quanto stava avvenendo nelle varie aree del mondo, Balance of Power lo giocammo nella sua versione Amiga uscita nel 1990, più ricca rispetto all’originale ma che non cambiava i meccanismi di fondo. Una vera scuola di diplomazia e di capacità strategica, frutto della mente di Chris Crawford, autore tra l’altro di un libro dedicato proprio al gioco.

Ne parliamo in questi tristi giorni di guerra in Europa, ossia un tema che i videogiochi hanno di fatto spesso trattato con simulazioni più o meno cruente e realistiche, ma che in Balance of Power viene presentata come soluzione terribilmente finale di uno scontro di interventi più o meno grandi nei diversi territori, tra invii di uomini o denaro a supporto di ribelli, scelte politiche, o azioni di risposta alle mosse della controparte avversaria. Senza tralasciare il ruolo dei consiglieri di fronte alle crisi presentate e alla necessità di scegliere per avanzare o rinunciare.

Emblematica in tutto questo la frase che compariva nel caso malaugurato del disastro nucleare: “You have ignited a nuclear war. And no, there is no animated display or a mushroom cloud with parts of bodies flying through the air. We do not reward failure.” Un monito che solo a leggerlo fa ancora oggi venire i brividi a chi videogioca. Figuriamoci a chi deve decidere nel mondo reale… o forse, purtroppo, no.

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