Aria di Crysis

16 Aprile 2012 di Stefano Olivari

Ogni appassionato di videogiochi ha una o più nicchie di maniacalità: non amando le vicende troppo complesse, le nostre sono gli sportivi (dopo un periodo snob siamo stati travolti da Fifa Street) e gli sparatutto, per gli amici shoot’em up. In questo secondo girone uno dei nostri preferiti è Crysis, il cui labile pretesto per parlarne è fornito dall’imminente uscita della terza versione con novità che valuteremo sul campo ma che già adesso possiamo definire parente ma non rimasticatura delle prime due conosciutissime puntate. Di cosa stiamo parlando?

Nella prima (anno 2007) il protagonista, nome di battaglia Nomad, è un soldato della Delta Force che nel 2020 insieme a quattro altri deve liberare un gruppo di archeologi americani rapiti dalla Corea del Nord (ormai l’unico stato di cui si può parlare male, pur essendocene cento non meno canaglia) in un’isola al largo della Cina. Il nostro eroe, ipercorazzato e con differenti modalità, combatte contro tutti e sinceramente la sceneggiatura del gioco scompare (almeno per noi talebani dell’arcade) davanti alle battaglie con i nemici (è significativo che oltre ai nord-coreani i nemici siano gli alieni). Anche in Crysis 2, ambientato nel 2023, c’entrano gli alieni, con il protagonista (questa volta un marine, Alcatraz) che deve trovare e salvare un professore che sta indagando su un’epidemia diffusa dagli alieni (sempre loro!) a New York. Punto di contatto con il primo Crysis è Prophet, uno dei componenti della squadra di Nomad, che all’inizio del gioco dona la sua tuta ad Alcatraz. A nostro avviso Crysis 2 è più giocabile del primo, ma è più difficile gestirsi con l’energia: una considerazione profonda, che lasciamo cadere così. Qui i nemici sono i Cell, una specie di milizia privata (e ovviamente ‘deviata’ come nemmeno il Sismi e il Sisde) di una corporation e i Ceph, gli immancabili alieni. E veniamo alla terza versione del gioco (o sarà una experience?) della Elecronic Arts, di cui conosciamo solo la trama. Ambientato nel 2047, anche qui protagonista è Prophet (non è chiaro se nella versione Alcatraz o in quella Barnes), anche qui i nemici sono gli alieni. Di sicuro rimarrà uno dei migliori sparatutto in circolazione, con la costruzione di un nemico ‘condiviso’ che commercialmente è giusta ma culturalmente troppo furba. A un primo livello si può essere contenti che i nemici siano gli alieni, che tanto non esistono (o se esistono non si sono ancora palesati se non tramite Voyager), o le corporation che avvelenano silenziosamente le nostre vite (non siamo noi che siamo teste di cazzo, questo mai). Non è comunque gente che ti querela, come magari farebbe il vicedirettore di un quotidiano di provincia. A un secondo livello troviamo discutibile, anche in simulazioni di pura energia e destrezza come gli sparatutto che non necessiterebbero di sovrastrutture ideologiche, il dover dare una legittimazione culturale all’ammazzamento. Facendo così passare in secondo piano il bello dello sparatutto: uccidere o essere ucciso, senza cattiveria ma anche senza un vero perché, in un mondo sempre più veloce e minaccioso. L’ideologia di Space Invaders (non male questo link), che troviamo attualissima. Tornando a Crysis 3 e pensando a Sabrina Salerno, non ci interessa sapere se dentro alla nanotuta c’è di più: vogliamo solo sparare.

Twitter @StefanoOlivari

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