Calcio

Addio supermanager

Stefano Olivari 06/03/2009

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di Stefano Olivari

Il grande dirigente al di sopra di ogni sospetto, l’uomo di polso senza legami con singole società, il traghettatore della serie A verso il modello NBA? Sempre con i soliti nomi di banchieri e manager passati da un fallimento all’altro, senza un mercato diverso da quello delle conoscenze o, come dicono molti cialtroni di nostra conoscenza, del network. Tutte idiozie che ci hanno permesso di sopravvivere negli ultimi anni, delineando scenari affascinanti quasi quando le ricostruzioni di Voyager (medaglia d’oro a William d’Inghilterra discendente diretto di Re Artù). Quella che la Lega ha scelto poco fa è una specie di anarchia organizzata, con cariche distribuite ad amministrativi che ratificheranno decisioni prese altrove. Nel giorno in cui gli arbitri hanno eletto presidente uno dei loro esponenti più scarsi mai visti in A, Marcello Nicchi (non è necessario essere stati buoni cavalli per primeggiare come fantini, ma Nicchi è discutibile anche come fantino), l’assemblea di A e B oltre a rinviare a mercoledì 18 il rinnovo delle cariche (cioé di Matarrese tagliatore di nastri) ha offerto al pubblico non pagante una recita penosa che ha prodotto nell’immediato l’aumento del numero dei consiglieri della A da 6 ad 8. Nel mare delle dichiarazioni smozzicate peschiamo solo quella di Adriano Galliani: ”Credo che nessuno più di noi stessi abbia le capacità e le conoscenze per vendere al meglio dei diritti televisivi”. Un ‘noi stessi’ che significa evidentemente ‘me stesso’, visto che un presidente senza poteri ed un consiglio allargatissimo (il nuovo fronte sarà rendere tutti i membri di A consiglieri) signficheranno avvicinarsi alle megatrattative tivù 2010-2016 senza una guida, totalmente nelle mani del direttorio dei grandi club e dell’advisor, solita parola inglese che nasconde la furbata, di area ex Fininvest. Galliani e soci concedono che Matarrese possa rimanere, a patto che non si scontri con l’Assemblea di A, ormai vera lega nella Lega. Posizione condivisa dall’Inter, da una Juve ammorbidita e da una Roma che deve eseguire gli ordini di Unicredit. In concreto il voto ponderato stabilisce che tutte insieme le società di A contino il 60% contro il 40% delle 22 di B, la concessione tutto sommato risibile è che la A si impegna nel non staccarsi dalla B. Cosa cambia per noi sfigati? Niente, per questo gli articoli di politica sportiva sono i meno letti dei giornali e dei siti. Per i grandi club cambia invece qualcosa: hanno messo per iscritto che regoleranno le proprie questioni fra di loro, senza rispondere a nessuno nemmeno sul piano formale. Per Mediaset, Dahlia (partirà domani dalle ceneri di La7 CartaPiù, ma non pensate a grandi novità: responsabile del canale calcio è Maurizio Biscardi) e ovviamente Sky cambia invece molto: sventato il progetto di tivù di Lega, impossibile senza una guida forte, tutte insieme risparmieranno sugli 800 milioni l’anno. Come abbiamo detto, la Roma non è esattamente padrona del proprio destino, mentre le società medie (Lazio, Fiorentina, Genoa, eccetera) si accontentano di essere sul carro giusto. Ci sfugge la convenienza di Inter e Juventus nell’accettare un assetto del genere, che di fatto ad andare bene confermerà per loro gli incassi del recente passato. Uno sgravio fiscale di qua, mascherato da tutela dell’ambiente, un incentivo alla rottamazione di là, mascherato da aiuto all’occupazione, ed il gioco è fatto. Questa è la famosa governance.

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