Santiago, Italia: cileni come africani?

30 Dicembre 2018 di Stefano Olivari

La visione di Santiago, Italia ci ha ricordato una volta di più che che il documentario sta al grande regista come il disco di cover sta al grande cantante: in assenza di ispirazione si mette il pilota automatico e si cercano conferme presso i propri fan storici. È stato così anche per Nanni Moretti, per noi personaggio di assoluto culto e con ancora molto da dare nonostante i suoi primi successi risalgano a quattro decenni fa. Il tema, quello dei perseguitati politici che durante il colpo di stato di Pinochet nel Cile del 1973 cercarono rifugio nelle ambasciate straniere, era ampiamente da film e non è che la forma documentario lo renda più forte, anzi. Non per una presunta neutralità che il documentario dovrebbe avere (è un’ipocrisia e ad un certo punto dell’intervista con un militare condannato per omicidi e torture fa benissimo Moretti a dirgli “Io non sono imparziale”), ma perché qualsiasi buon reportage giornalistico avrebbe superato quanto messo insieme da Moretti fra interviste di oggi ed immagini d’epoca.

Presentato al Torino Film Festival e nelle sale italiane da questo dicembre, Santiago, Italia ha comunque il merito di far riflettere sulle scelte che anche nei momenti peggiori tutti hanno la possibilità di fare. Fra questi tutti comprendiamo anche i diplomatici italiani dell’epoca, che come i colleghi di altre ambasciate (soprattutto la Svezia) si trovarono a gestire le richieste di asilo di migliaia di cileni con il doppio passaporto nel mirino della giunta militare ma anche di cileni-cileni di sinistra che pensavano (quasi sempre con ragione, visto che tirando le somme la repressione avrebbe portato a circa 3.000 morti) di avere le ore contate. Nell’assenza totale di direttive dal nostro Ministero degli Esteri (all’epoca ministro era Aldo Moro, con presidente del Consiglio Rumor), i diplomatici italiani scelsero la strada dell’aiuto a chiunque fosse possibile aiutare, trasformando l’ambasciata in un campo profughi e poi fornendo a tutti visti per l’Italia: dove molti di questi veri profughi furono accolti bene, non solo nelle zone governate dal PCI, e vivono tuttora.

Il cuore del documentario che avrebbe dovuto e potuto essere un film è proprio questo, come si capisce dalle interviste ai diplomatici (ma non in quelle ai cileni): il parallelo fra la generosità dell’Italia di allora e l’egoismo di quella di adesso nei confronti dei migranti africani. Un parallelo azzardato ma degno di essere discusso: anche se non è così complicato capire perché un italiano medio, anche non comunista, provi empatia nei confronti di un cileno perseguitato da una dittatura fascista e un po’ meno nei confronti di un senegalese che scappa dalla fame. Non che la fame sia ‘meglio’ di Pinochet e dei suoi sottoposti, è soltanto una questione di affinità. Soprattutto culturale, visto che quasi tutti gli esuli cileni erano di buon livello sociale ed erano persone che sapevano esprimersi (per questo erano nel mirino, di solito), come i più anziani, tipo quelli della nostra età, ricordano a tante feste dell’Unità con musica terribile ma dibattiti di livello. Con il Cile che non mancava davvero mai e metteva tutti d’accordo… In altre parole, l’empatia e la più concreta solidarietà non possono essere imposte per decreto.

Valutando Santiago, Italia per quello che è, cioè un documentario, ci sembra un po’ tirata via la parte su Salvador Allende. I nostalgici dei suoi anni parlando di un paese ottimista, dove tutti ballavano e costruivano un grande futuro, ma si tratta nel 99% dei casi di nostalgia per la propria gioventù. In tempi più recenti qualcuno ha scritto cose simili in onore di Chavez… Il Cile di Allende era quasi fallito e la gente era alla fame, stroncata da un’inflazione da 900% l’anno. Non per questo fu giusto rovesciare militarmente un governo democraticamente eletto, ma è solo per dire (visto che il documentario non lo dice) che anche le peggiori dittature godono di un certo consenso popolare. Sarebbe stato così anche per quella argentina iniziata qualche anno dopo, che da ogni punto di vista fu dieci volte peggiore di quella cilena: soprattutto in economia, visto che al netto di ogni altra considerazione Pinochet il Cile lo risollevò davvero grazie alle ricette della scuola di Chicago. Fra i principali consulenti di Pinochet c’era Milton Friedman, non ancora premio Nobel… Tornando al film, è in ogni caso da apprezzare la proposta di temi storici in mezzo a cinema per ragazzini (non solo a Natale, lì te lo aspetti), commedie datate e filmoni hollywoodiani che non lasciano nella memoria nemmeno un fotogramma. Moretti è ancora vivo.

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