Jethro Tull, quando i vecchi sono giovani

25 Luglio 2018 di Indiscreto

Perché ci sono cantanti o gruppi che dopo cinquant’anni di carriera sembrano meno datati di altri molto più giovani? Ce lo chiedevamo l’altra sera all’ippodromo, mentre eravamo in coda per ritirare il biglietto per il concerto dei Jethro Tull acquistato su Ticket One (che non permette di stamparselo a casa, scelta ridicola che subiamo ogni volta senza un vero perché) e osservavamo i compagni di sventura: gente davvero di tutte le età ed estrazioni, dall’harleysta ingrigito al liceale, dall’impiegata trentenne al cinquantenne piegatosi al sistema (di cui fanno parte anche Ticket One, l’ippodromo e ovviamente i Jethro Tull) che parla solo dei concerti che ha visto in tutto il mondo.

La prima e forse unica spiegazione è che a livello creativo e musicale è esistita un’età dell’oro, la seconda metà degli anni Sessanta e la prima dei Settanta, che ha prodotto capolavori senza tempo ed ha permesso ai suoi protagonisti di vivere di rendita surclassando altri generi più legati al loro presente e recuperabili solo in un’ottica di pura nostalgia, dalla new wave al grunge. La seconda spiegazione, senz’altro più acuta della nostra, la fornisce Simon Reynolds nel suo fondamentale ‘Retromania’: il web ha dato una seconda vita di massa al meglio del passato, cosa che negli anni Settanta non poteva avvenire, così che i migliori musicisti nuovi degli anni Duemila non si confrontano solo con i loro contemporanei ma con tutti i migliori venuti prima di loro.

Scendendo rispetto ai massimi sistemi, bisogna dire che i Jethro Tull sono stati qualcosa di unico anche all’interno di quell’epoca irripetibile e come versatilità sono secondo noi paragonabili solo ai King Crimson: inquadrabili wikipedisticamente nel progressive, hanno toccato tanti generi seguendo l’ispirazione del loro leader Ian Anderson e del suo flauto traverso, suonato spesso (anche a 71 anni, quando i suoi coetanei sono in coda alla ASL con il contenitore delle urine in mano…) in posizione da fenicottero, su una gamba sola e battendo il tempo con l’altra. Come molti della loro epoca hanno rubato tanto alla musica classica, soprattutto Bach (con la celeberrima Bourée contenuta in Stand Up), però dichiarandolo.

Dopo la separazione dalla storica chitarra di Martin Barre della formazione originaria rimane ormai soltanto il leader ed il tour 2018 altro non è che un’onesta riproposizione dei grandi classici dei Jethro Tull, con testimonianze video dei tanti ex della band: da Mick Abrahams a Jeffrey Hammond, passando anche per chi il gruppo lo ha solo sfiorato, come Tony Iommi, più noto come chitarrista dei Black Sabbath. La scaletta del concerto, durato quasi due ore e non è un dettaglio da poco in un’era in cui va di moda il braccino corto, è stata abbastanza ortodossa e tutto si è concluso con le due canzoni che conoscono anche i sassi, Aqualung e Locomotive Breath. Intelligente l’uso dei video, quasi tutti in un emozionante bianco e nero (struggente quello di Heavy Horses), ma soprattutto non datata la musica.

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