Il romanzo della canzone italiana, mezzo secolo da ricordare

25 Maggio 2018 di Paolo Morati

Come ben sanno i nostri affezionati e meno affezionati lettori, siamo supporter della canzone italiana. Con tutte le conseguenze del caso quando ci mostriamo troppo entusiasti. Abbiamo quindi accolto con favore l’uscita del nuovo libro di Gino Castaldo per Einaudi, intitolato Il romanzo della canzone italiana e sottotitolato Storie, aneddoti e personaggi della canzone moderna (1958-2000), scritto da uno dei critici musicali storici del nostro Paese, ben noto non solo a chi legge Repubblica e capace di reinventarsi negli ultimi anni anche sul web. Castaldo fa parte della pattuglia dei Fegiz, dei Mangiarotti, delle Venegoni, ossia di quella cerchia ristretta di giornalisti che osservano e commentano i fatti musicali frequentandone il mondo e i protagonisti da sufficiente tempo (decenni) per poterne narrare le varie sfaccettature andando oltre le veline da comunicato stampa e le tribune da talent. Dove pure, in qualche caso, sono apparsi.

Ecco che dopo due antefatti decisivi (la canzone napoletana e gli anni Cinquanta) Castaldo avvia il suo ‘romanzo’ con Domenico Modugno e Nel blu dipinto di blu definita “una bomba gettata su un paese che aspettava solo la scintilla per cominciare a sognare.” Da lì entra nel dettaglio dei tanti episodi e protagonisti che hanno fatto la nostra forma canzone, spiegando e correlando episodi storici e sociali, e trasformazioni che metto in primo piano non solo i generi ma anche (e soprattutto) le liriche (“La verità è che una canzone può avere un testo poeticamente raffrontabile alla poesia, ma non ne ha necessariamente bisogno”). Si passa quindi dal fenomeno degli urlatori alla nascita dei cantautori, dal mondo dei night club alle canzoni estive, ai passaggi del beat e del progressive, per poi dedicarsi ampiamente ai cantautori e toccare successivamente le trasformazioni dei decenni successivi.

E naturalmente ci sono i pezzi da novanta raccontati e commentati in capitoli dedicati a partire da Lucio Battisti (“…in realtà le sue canzoni provocavano un certo fastidio. Erano ambigue, non si schieravano”) e il binomio con Mogol, le rivoluzioni di Adriano Celentano (“Aveva la vista lunga, aveva capito fin troppo bene quanto fosse importante mischiare le carte, confondere la vita reale con quella finta delle canzoni, e nel suo inconfondibile modo questa confusione l’ha sempre tenuta viva”) e di Mina (“Dove le altre sudano, faticano, lei va, tranquilla, apparentemente senza sforzo”), Lucio Dalla (“è stato tante cose: fantasista, attore, jazzista, bugiardo, genio della canzone, un perennemente «giovane esploratore» in piena navigazione esistenziale e artistica, prestigiatore, mecenate, regista, scopritore di talenti.”), Fabrizio De André (“Il suo modo di far canzoni derivava dai francesi e in particolare da Brassens, dal quale ricava un forte senso critico verso istituzioni, ipocrisie borghesi, repressi di professione, e quasi inevitabilmente racconta di emarginati e prostitute”) e Francesco Guccini (“La vera essenza di Guccini è l’atto del narrare, riesce a farlo in qualsiasi modo, è un formidabile narratore «orale», anche ovviamente fuori dalle canzoni, quando si rilassa davanti a un bicchiere di vino o condisce di storie il suo concerto”), Renato Zero (“Nelle sue canzoni c’è sempre un malizioso rimando alla vita personale, malgrado abbia indossato maschere vistose.”… e poi Vasco Rossi (“Soprattutto è sincero, autentico, e la gente lo percepisce.”), Pino Daniele (“Grazie a Pino la musica napoletana aveva acquistato una nuova luce, era entrata nella modernità”.), Franco Battiato (“Quando Battiato irruppe sul palcoscenico della canzone, fu un vero colpo di teatro, un’entrata plateale e sottilmente sovversiva”) e tanti altri nomi per un’opera che si fa leggere narrando e dando spazio anche a personaggi decisivi ma poco celebrati come Piero Ciampi (“Geniale e dilettante. Non rispettava niente e nessuno, tanto meno sé stesso, però a essere poeta ci teneva, tanto che sembra sia riuscito a far stampigliare «poeta» sul passaporto, alla voce «professione»”).

Nel libro, che si ferma per scelta al 2000, certamente Castaldo sembra ‘godere’ di più a raccontare i suoi migliori anni e i suoi gusti musicali ma non per questo lascia fuori anche generi e pillole di personaggi che hanno comunque lasciato il segno, al di là di qualche dimenticanza (tra le tante ci viene in mente Franco Simone, per noi inspiegabilmente marginalizzato quando si parla di cantautori in Italia). L’unica critica che ci permettiamo di fare è aver liquidato in poche righe nomi per noi importanti per la canzone italiana come Umberto Tozzi (si cita, ma più per evidenziare il testo di Ti amo che i cambiamenti ‘pop’ introdotti in un periodo non certo facile per chi non si ‘impegnava’), Eros Ramazzotti (giusto un passaggio veloce sugli esordi) o Toto Cutugno al quale si riservano poche righe in un timido tentativo di riabilitazione de L’italiano (“Cutugno era invece visto come componente reazionaria della nostra cultura musicale, e fu presa con un certo fastidio, per un orgoglio nazionale che in quei primi anni Ottanta era ancora lungi dall’essere accettato.”). Quasi che il peso di determinati generi sia da considerare inferiore… Nelle note sono citati autori e compositori, che hanno contribuito anch’essi alla storia della nostra canzone. Ecco un secondo ‘romanzo’ potrebbe essere proprio dedicato a loro.

Detto questo, Il romanzo della canzone italiana è un libro approfondito in varie parti, con capitoli più ampi e generali e altri molto puntuali (si veda quello dedicato alla genesi di Caruso di Lucio Dalla), e sembra essere stato fatto il possibile per far emergere quella valenza che alla musica moderna nata nel nostro Paese troppo spesso viene negata in nome dei ‘maestri’ di oltre confine.

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