Io corro da solo, un libro alla Panetta

6 Marzo 2018 di Stefano Olivari

Correre alla Panetta significa rifiutare ogni tatticismo e giocarsi le proprie possibilità attaccando, magari poi crollando ma avendo come obbiettivo la vittoria. Fuori dal gregge, come dice lui. Per questo Francesco Panetta è rimasto nel cuore di tutti gli amanti dell’atletica e senz’altro nel nostro ben al di là delle sue vittorie, pur notevoli: nei 3000 siepi campione del mondo a Roma 1987 e d’Europa a Spalato 1990, senza contare le vittorie in Coppa Europa (anche nei 10000) e i piazzamenti di valore assoluto, come il secondo posto sempre a Roma 1987 nei 10000 e l’argento europeo di Stoccarda 1986.

La sua autobiografia è scritta davvero alla Panetta, in uno stile artigianale (il curatore, Walter Brambilla, non l’ha stravolto e ha fatto benissimo) come artigianale era il suo scavalcamento delle barriere, ma anche meravigliosamente diretto e in contrasto con gli interventi giornalistici che ci sono nel finale del libro, da Franco Bragagna a Fausto Narducci. In Io corro da solo (Gemini Grafica Editrice) Panetta tiene subito a precisare che non annoierà con tempi, risultati, dettagli di allenamenti: nella sua testa, da atleta professionista e ancora di più da ex atleta professionista, c’è netta la differenza fra l’agonista e l’amatore. Non voleva fare un libro per cinquantenni maniaci delle tabelle e del cardiofrequenzimetro, ma per chi apprezzava e apprezza un modo di essere ruvido, forse arrogante, di sicuro molto duro con se stesso prima che con gli altri.

Secondo Panetta correre non è uno sport ma uno stile di vita, un miracolo della natura da rispettare profondamente. Lo aveva intuito già da bambino per le strade della sua Siderno, Reggio Calabria, dove è nato nel 1963, lo avrebbe vissuto trasferendosi a 18 anni a Milano per fare il salto di qualità alla Pro Patria allenato da Giorgio Rondelli. A quei tempi noto per essere l’allenatore di Alberto Cova, del quale per pigrizia giornalistica Panetta veniva definito ‘scudiero’. Definizione che a Panetta non va giù nemmeno a distanza di decenni. Li dividevano 5 anni di età, nell’atletica tantissimo, e lo stile di corsa ma certo non la serietà nell’approccio né la mentalità: ovvia la rivalità, anche se di fatto Panetta è emerso con la pazza gara di Stoccarda, nell’edizione degli Europei in cui iniziò il declino di Cova, battuto nei 10000 da Stefano Mei. Tante volte li abbiamo visti con i nostri occhi allenarsi insieme, alla montagnetta di San Siro o al XXV Aprile (ndr: storico campo sportivo vicino all’ormai defunto PalaTrussardi-PalaSharp e non lontano dallo stadio di calcio), ma nelle pagine di Panetta non si avverte grande calore e forse è giusto così perché tanti risultati sono nati proprio dalle rivalità. Anche se il rispetto non è mai mancato, con Cova e anche con Alessandro Lambruschini, quasi coetaneo ma suo erede nelle siepi, nel 1994 letteralmente trascinato verso l’oro europeo.

A dirla tutta, Panetta pur parlandone molto non si spreca in complimenti nemmeno per Rondelli, dal quale divorziò dopo i Giochi di Seul (altra gara alla Panetta, questa volta finita male), e questo è già meno comprensibile. Sempre appassionante il racconto della quotidianità e delle tensioni di un atleta, compresi certi ritiri monacali in Finlandia, così come anche quello del proprio umano declino. Senza doping una carriera credibile dura pochi anni, ad altissimo livello, nell’atletica quei pochi diventano poi pochissimi. Declino iniziato con l’ambizione sbagliata e comunque prematura di provare la maratona, dopo essere stato un fenomeno in pista e bravo nel cross. Nel dopo atletica, iniziato a 35 anni, Panetta non ha più corso nemmeno per scherzo.

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