Nella tasca di Bargnani

24 Agosto 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni spinto dalla curiosità nel giardino zoologico smithsoniano di Washington per la nascita di due piccoli panda che hanno fatto soffrire, più che gioire, la gigantessa Mei Xiang, oltre ovviamente, al Ron Artest che voleva tornare in Italia e nessuno ha voluto nel timore di essere magari svegliato di notte per un film verità da girare nei borghi più antichi. Ci siamo andati per evitare di incrociare i panda in azzurro che bevono succhi in piazza dell’Unità a Trieste, per schivare gli agenti, i clan, le family, per non dover chiedere anche soltanto una piccola intervista a chi ti rimanda al responsabile della sua “immagine”. Rob de mat. Ci dicono che è accaduto davvero, ma perché stupirsi? Sono i tempi, bellezza. È già un miracolo che stiamo tutti sulle stessa barca davanti al mare triestino. Lo fanno per arricchire la pagnotta, non certo per amore, quello lo avevano soltanto i tifosi della Fortitudo Bologna che ora scoprono quanto poco amore ci fosse in Sacrati se ancora oggi si devono scontare i suoi peccati, con mercato sull’estero chiuso, anche se poi, vista la formula, considerando tutto, ha ragione Boniciolli: la nuova Effe prenda spunto dal divieto, paghi colpe non sue e si butti nell’avventura utilizzando soltanto giocatori italiani, a patto che scelga gente affamata e non sia costretta a subire ricatti per italiani scoppiati, esperti, gente vintage alla ricerca dell’ultimo crostino con alici. Non ci sentiamo ingiusti, magari sbagliamo. A sentirli questi dell’Azzurra petrucciosa più forte di sempre, uffa che bufala, stanno benone insieme, sono famiglia e sognano tutti una danza di vittoria al sambodromo di Rio dove contano di arrivare arrampicandosi sulla parete di questo europeo.

Possono farcela? Certamente. Basta non sbagliare a Berlino e poi fra i sette si arriva. Primi no? Non lo crediamo possibile anche se tutte le avversarie hanno in squadra quialche piccolo rompicoglioni. Sincera, realistica se punti al risultato soltanto, la scrematura di Pianigiani. Noi, però, avremmo usato altri metodi, coinvolgendo anche i mediani, i ragazzi speranza, ma lui ama questo ruolo da Isterix che azzanna tutto e tutti, cominciando dagli arbitri, georgiani o sloveni non ha importanza, alzando un muro di filo spinato fra la realtà, errori che si vedono, e il finto consenso per ogni rutto, persino il sincopato di Poeta, curioso tipo di convocato che fa gruppo, è simpatico, intelligente, ma, come il suo palleggio, sembra restare sempre sul posto salvo poi mangiare la faccia ai più “teneri” come il Della Valle mandato in castigo mentre doveva lavorare in un quintetto muschiato come si è divertito a fare il nostro Cittì nel torneo a Capodistria.

A proposito. La civiltà cestistica di certi paesi la capisci dalle loro televisioni. Tutto quasi perfetto, la grafica, prima di ogni cosa, togliendo l’onere di dover ascoltare le troppe parole inutili. Capiamo un uomo che fa gruppo come Capobianco, ma come seconda voce di fianco a Trigari sembrava davvero la mamma per cui ogni scarrafone è bello. Curiosa questa voce, che arriva dalla controlaguna nei giardini di Pea, sull’opposizione di Petrucci al ritorno di Dan Peterson come telecronista. Misteri. Chi contro cosa? Malignità in salsa agrodolce. Il nano bussa sempre, ma non è che il basket abbia ascolti così alti da provocare sommosse se si toglie il microfono all’uomo che ha rivoluzionato tante cose nel nostro basket, ma anche nel mondo della comunicazione, uno che, magari, adesso è un po’ noioso, ripetitivo, ma resta pur sempre simpaticamente diverso da tutti gli altri. Peccato. Intanto lui è volato in America dove ci sono i veterani impegnati nel mondiale. Speriamo che gli vogliano bene. Ne ha bisogno. Si sente un po’ solo, se ha potuto deludere Lignano per Folgaria.

Ma torniamo ad Azzurra caduta due volte a Capodistria: la prima contro l’Ucraina, ripetendo il copione del maledeto scorpione che a Milano aveva avvelenato la vita di Banchi e dei tifosi più attenti. La sindrome del veleno da iniettare anche a chi ti sta trasportando verso la salvezza trasferita in azzurro e quando il gioco diventa un passaggio e un tiro, ma, ancora peggio, sei palleggi, una forzutura, allora dai speranza anche a chi non se la meriterebbe. La seconda, davanti allo Jure Zdvoc irritato davvero dal piagnisteo del Simone che è ancora convinto di poterla spiegare a tutti, cominciando dagli arbitri, ha avuto un senso perché ora è tutto chiaro, a parte i quintetti finali che erano davvero fumo negli occhi, speriamo, per eventuali spie turche, serbe, spagnole, tedesche, no gli islandesi erano altrove.

Ora nessun allarme se si perde in precampionato. Ammesso, però, che le partite di avvicinamento siano sfruttate per vedere bene come stanno le cose. Lo staff del piccolo principe lupaiolo ha deciso che Belinelli, Gentile, Gallinari, Bargnani, Datome, Cinciarini e Hackett sono i pilastri, come spalla privilegiata il Melli che, con quella sua faccia da incompreso sempre bisognoso del sostegno umano per prendere una decisione che lo metta in discussione. Gli altri? Pesce popolo, ma non avremmo avuto così tanta fretta di chiarirlo subito. Certo se uno pensa di dover affidare il suo destino a centri come Cusin e Cervi non può andare a dormire tanto tranquillo e, giustamente, studia soluzioni diverse perché avrà capito finalmente cosa tiene in tasca Bargnani. Un’aquila che sa guardare, dopo aver capito che la cosca dei pallleggiatori non sarà mai messa sull’inginocchiatoio ad espiare, esibizionisti che quando, raramente, passano la palla, fanno uscire dai pori, come in un fumetto, le parole sante (“Ci vogliamo tutti bene, ce la passiamo perché ci hanno detto di farlo, certo non tutti lo fanno bene come me”), si è domandato perché il basket elementare del presunto Mago Bi non è stato allegerito ancora di più, magari schierandolo insieme al Cusin che fra i tamburi della banda sembra sempre fuori tempo, certo meno del Cervi che stupefatto scopre di non riuscire a muoversi come dovrebbe e potrebbe. Era la stessa faccia dei giorni in cui a Reggio speravano che desse almeno una mano per arrivare allo scudetto, scoprendo, dolorosamente, che certe buone giocate erano l’eccezione e mai la regola.

Insomma avremmo dato a Polonara e Della Valle lo stesso spazio concesso all’Aradori che ha capito bene cosa deve fare per stare nei dodici: gregariato in tutta umiltà. Non si può accontentare tutti se il tempo stringe e ora, salvo incidenti sappiamo che staranno fuori dalla rosa non aulentissima di azzurra il Chichicito Della Valle, Pascolo, Cervi e l’infortunato Luca Vitali congedatosi con una lettera che ha fatto inumidire qualche ciglione bistrato. Quindi Polonara nel gruppo? Be’ considerando i quintetti anomali che si dovranno utilizzare e la debolezza a rimbalzo sarà meglio tenerselo in fondo alla panchina. Non si sa mai.

Insomma amico dei panda di Artest sei preoccupato o no dopo tre tornei? Non troppo. Certo esiste la paura che i reduci da una stagione senza quasi mai giocare possano grippare. Datome e l’inguine irritato, Gallinari e le pause logiche pur sapendo che a Berlino si giocherà senza recuperi, Bargnani e il desiderio di trovare qualcosa per farsi voler bene, anche se deve fare un gran fatica: lui ha doti speciali, la natura lo ha servito bene, ma il gioco lo sente e le vede poco. Avanti al centro caro Petrucci mistico della vecchia Diccì. Si deve, si può sperare. Le incazzature a Tbilisi e Capodistria ci dicono che il Pianigiani è un Lang Lang sul piano del basket, furore, ma attento a non farsi scoprire come unico depositario del verbo, perché certi giocatori diventano suscettibili e certe facce dietro le spalle, nei minuti di sospensione andrebbero lette bene dal mago Spileberg Fioretti quando deve montare i video memoria, i vedeo esplorativi, quelli esplicativi su pregi e difetti dei nemici.

(foto tratta da www.gazzetta.it, )

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