Brigate Rosse d’Argentina

3 Giugno 2014 di Stefano Olivari

La scoperta dell’alba è un film a suo modo rivoluzionario, ma non perché parli di terrorismo. Si tratta infatti della prima pellicola tratta da un romanzo di cui è impossibile dire che sia meglio il romanzo. La storia, ideata e scritta da Walter Veltroni nel 2006 (all’epoca era sindaco di Roma), è infatti così sconclusionata, improbabile e pretenziosa che su carta fa arrabbiare per il tempo perso, mentre almeno il film, del 2013 e visto di recente su Sky Cinema, può essere sopportato grazie al mestiere degli attori: su tutti Margherita Buy perfettamente centrata nella consueta parte di Margherita Buy e Sergio Rubini super-caratterista, senza dimenticare Lino Guanciale (visto soprattutto in Una grande famiglia, unica fiction guardabile di Rai Uno da tempi della Piovra, dove interpreta il marito di Sarah Felberbaum, l’attuale compagna di Daniele De Rossi), l’ottimo Renato Carpentieri e una Lina Sastri come al solito impossibilitata a sorridere, anche perché mai le hanno assegnato il ruolo di animatrice al Papeete. Buoni gli ingredienti di base: anni di piombo (esattamente il 1981, quando gli anni Ottanta non erano ancora iniziati), realtà precaria e sfilacciata di oggi, conti con il passato mai veramente fatti a livello politico e soprattutto privato. La Buy è una assistente universitaria, figlia di un professore che si presume (ma senza rivendicazioni) essere stato rapito dalle Brigate Rosse nel 1981, pochi giorni dopo l’omicidio di un collega, Tessandori, preside della facoltà di Giurisprudenza. Dopo la morte della madre la Buy e sua sorella, manager di un gruppo musicale (interpretata dalla stessa regista, Susanna Nicchiarelli), decidono di vendere la casa al mare. Mentre sta sbaraccando, la Buy viene colpita da un vecchio telefono grigio, di quelli a disco che l’allora SIP includeva nel canone. Senza un vero perché compone il numero della vecchia casa di famiglia a Roma (senza fare lo 06, cosa credibile nel 1981 se facenti parte dello stesso distretto telefonico, ma un po’ meno nel 2006) e le risponde… lei stessa, ma bambina nell’Italia del 1981. Inizia così un pastrocchio, mescolando Ritorno al futuro e Margarethe von Trotta, in cui accade di tutto e di più: il flirt con il figlio di Tessandori, il tentativo di cambiare il passato invitando la bambina a influire sulle mosse del padre, il contrasto fra sorelle, il colloquio con l’ex terrorista e forse amante del padre, le sfighe on the road di un gruppo musicale, gli scazzi con Rubini, le pennellate generazionali (notevoli il 45 giri con le lezioni di aerobica di Sydne Rome e il Super Simon), riflessioni sull’Italia delle raccomandazioni. A ripensarci non accade proprio niente, ci si trascina verso la fine (che non sveliamo, da vero sito spoiler free) con una trovata più improbabile dell’altra: fra queste l’Oscar va al progetto del padre scomparso, simpatizzante delle Brigate Rosse, di scappare in Argentina. Nel 1981, quando al potere c’era Viola che aveva appena deposto Videla con un colpo di Stato nel colpo di Stato. Visto che tutti quei militari erano buoni amici di Gelli, la tesi di Veltroni e del film è quindi che dietro le Brigate Rosse ci fosse la P2, come da teorema della strategia della tensione? O magari l’Argentina è stata scelta a caso, forse sopravvalutiamo tutti. Conclusione? La trovata della se stessa bambina è l’idea più valida del libro-film, per il resto siamo in purissimo genere ‘de sinistra’ con assistenzialismo incorporato (fra i produttori c’è Rai Cinema). Di sicuro Veltroni sarà meglio come presidente della Repubblica, sempre che batta lo spiritista (anni di piombo purissimi) Prodi, che come scrittore.

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