Zanzare a San Siro

21 Luglio 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Le mani di Alfredo Broggi, i rinforzi delle prime tre, i muscoli di Crosariol, Pianigiani senza rimbalzi, le interviste di Campana, l’Italia da sacrificio, il rimpianto di Andrea Meneghin, il mezzogiorno della LegaDue e il premio a Peterson.

Oscar Eleni da Luz Ardiden, Pirenei, luce per contrabbandieri, segnale per viandanti sfiniti. Le terme sul monte, direbbe un poeta giapponese che non ha conosciuto l’Alfredo Broggi, mani d’artista, testa d’artista, cuore immenso, un amico del basket, della vita, della creatività al servizio dei grandi, da Agnelli agli emiri, che ci ha lasciato perché, siamo sicuri, non vedeva l’ora di andare a vedere cosa combinavano il sciur Aldo Allievi e il Porelli dall’altra parte del muro, cosa faceva il professor Klinger per tenerli buoni. Sulla gente nuda, grandi anime che ci hanno lasciato, scorre il fiume del cielo. Devi pensare a loro per ritrovare qualcosa di te stesso, e le mani dell’Alfredo che avrebbero ispirato Michelangelo sono protese verso l’alto mentre ci saluta. Fuochi d’artificio sbocciano sul cielo del Cantuki, dopo cade una stella, ci resta la solitudine. Scrivere per il piacere di farlo adesso che i giornali tagliano compensi in un Paese dove si fa la faccia cattiva con chi non ha mezzi per difendersi, togliendogli quasi tutto.
Scrivere per non sentirsi sgridare da chi sfrutta un‘antica rivalità per stuzzicare chi voleva prendersela più comoda in un periodo dove il mercato Armani oscura persino le manovre europee del Montepaschi. Certo i nomi nuovi sono importanti, ora vedremo come verranno chimicamente sistemati nel cuore delle squadre. Fa piacere sapere che Milano ha finalmente speso i quattrini per fare una squadra competitiva e che Siena si è attrezzata per essere protagonista, di nuovo, in Europa. Anche Cantù si è mossa benissimo e le prime tre dell’aultima stagione sembrano al momento più forti dell’anno scorso.
La parola alle rivali, lasciando da parte Roma dove devono esserci difficoltà di comunicazione se per “liberarsi” di Tanjevic fanno parlare un Crosariol e un Giachetti che ci avevano informato sulla loro riconquistata salute e del boicottaggio (?) del Boscia e dell’allenatore sloveno fuggito, giustamente, verso Lubiana. Stavano benissimo, ma non li facevano giocare. Stavano così bene che in Nazionale li avevano pure chiamati, ma poi, dopo aver guardato i loro muscoli, poco addestrati nella lunga vacanza, sono stati pregati di farsi da parte. Meglio per la Nazionale che così ha un numero ristretto su cui lavorare, ma almeno quelli che ci andranno saranno tutti impegnati nel corso per arrivare all’Europeo lituano con occhi da tigre. Basterà?
Bisognerebbe anche fare un corso per rendere il gruppo libero da servo encomio sul talento presunto, pronto a sacrificarsi, pur sapendo che anche con i tre ragazzi NBA non siamo da prima fascia. Per esserlo servirebbe un miracolo come quello delle ragazze giapponesi che hanno vinto il mondiale di calcio. Certo, se ci sono riuscite loro perché non essere ottimisti? Erano piccole, leggere, ma morsicavano tutto quello che stava sopra l’erba. Ora, nel basket, l’erba non c’è, bisognerà attaccarsi al polpaccio del nemico. Pianigiani ci crede. Dobbiamo crederci anche noi senza però nascondere la realtà: non abbiamo un pivot, non abbiamo peso a rimbalzo. Inventarsi l’emozione e trasmetterla. Un’impresa, ma il principe della Lupa ci ha abituato a tutto questo, prima con Siena dove l’oro luccicava, ma non era tutto oro come poi abbiamo visto quando certi giocatori se ne sono andati altrove, poi con la stessa Nazionale che nelle qualificazioni europee chiuse benissimo, pur dovendo tenere in squadra gente che non sa cosa sia una squadra, cosa sia il lavoro duro, serio.
Mentre le zanzare di San Siro banchettavano con il nostro sangue impoverito in sala operatoria ci siamo sentiti obbligati a scrivere perché i perfidi hanno trovato una chiave. Ma come, dicevano i malvagi, tu giochi con le pulci mentre il tuo antagonista naturale Enrico Campana sul suo sito scrive ogni giorno, fa belle interviste che avremmo certo voluto leggere sulle testate nazionali, sullo speciale del basket, perché Buzzavo andava congedato chiedendogli verità che prima non poteva dire sui migliori allenatori d’Europa passati in casa Benetton, perché Cino Marchese vede molto più in là di tanti legaioli asfissiati dall’invidia, perché Tony Cappelari poteva raccontarci davvero chi è stato Giovanni Gabetti per il basket italiano, per Cantù e per l’Olimpia, perché Spinetti, dalla Sardegna, vede ancora molto lontano, ma nessuno ci ha pensato o ci vuole pensare. Li abbiamo ascoltati, ma se poi leggete queste note fatelo sapere anche in giro.
Festa Azzurra sotto il cavallo di Leonardo, a San Siro. Tondino del peso. Squadra nazionale pesata, misurata e trovata non adatta al grande sogno. Deve fare qualcosa di atipico, dice Pianigiani, ma nel basket il catenaccio delle sudamericane che hanno fatto piangere i più bravi non funziona. Certo una difesa fatta bene può aiutare, ma i 15 saliti a Bormio, nel regno dell’eterno creatore Pini, un balivo che ha fatto della Valtellina, da anni, terra per il basket e non soltanto per sciatori o per malati di gotta affezionati alle antiche terme di Bormio, non sembrano tutti cagnacci da riporto. In loro c’è qualcosa di misterioso perché la banda intorno al gruppo suona come se fossero tutti tenori, perché non sai mai fino a che punto sacrificheranno il loro ego per un passaggio in più e un tiro in meno.
Bella la festa, bella la gente che abbiamo incontrato. Tutti primi al traguardo del nostro cuore, dagli allenatoroni che ci hanno dato gloria come Gamba, Messina, Recalcati, che ci hanno dato tanto come Bianchini o Corno, dai giocatoroni che sono stati davvero importanti: ad esempio Andrea Meneghin. Finalmente libero dalla maschera che si era imposto di giovialone, resta il grande rimpianto: doveva diventare il numero uno di ogni tempo e per tanto tempo. Bariviera brontolon ma indimenticato Barabba, Fucka divino airone di Parigi che ancora non sa se andrà avanti a giocare, Ponzoni con le sue medaglie conquistate nella nazionale veterani dell’Alberto Bucci che a Milano non c’era per andare a verificare come risponde il suo motore dopo il Brasile, dopo la goia e la rabbia. Marzorati ingegnere, dirigente, per noi resta il divino passatore che ti obbligava a credere nelle divinità dei canestri. Premier bello in carne, resta l’eterno cinghiale da combattimento che sapeva farsi amare anche dai cacciatori livornesi. C’era anche Vittorio Gallinari, più spremuto certo dei suoi amministrati perché per gli agenti questi sono mesi difficili. Gloria per Settimio Pagnini, novantenne, padre per generazioni di giocatrici. Gloria per tutti quelli che hanno scritto ricordandoci i personaggi di questi novant’anni di grande basket.
Gloria a Dino Meneghin che adesso fa tagliafuori micidiali a chi vorrebbe inquinare una presidenza capace di sbalordire i più scettici, perché lui non era nato per stare in mezzo agli Azzeccagarbugli del sistema, lui era uomo di campo, di battaglia, di allegra brigata. Si è adeguato, lo sta facendo bene e ci dispiace che la Lega gli abbia passato la patata bollente che diventerà il caso Reyer-Teramo, che gli arbitri continuino a litigare dopo aver avuto totale autonomia, che la Serie A2 non sappia ancora che spazi trovare televisamente per le superstiti e l’idea di proporsi a mezzogiorno rimasto televisivamente scoperto, come vorrebbe vulcano Bonamico, marine ieri sul campo e oggi co
me dirigente, potrebbe funzionare se tutti gli daranno una mano e non una lumaca da accarezzare. La verità è che il basket passato al digitale terrestre, proposto in chiaro e quasi gratuitamente, il costo sarà tutto per le cure neurologiche di chi si era abituato a vedere le partite riprese con massima competenza. Vedremo, valuteremo, ma intanto restiamo a Luz Ardiden portandoci dietro il carro di Tespi dove va in scena, per tuttte le piazze, su un‘idea dell’inesauribile Tolomei, la storia del nostro sport in Italia. Per metterlo insieme c’è voluto l’aiuto di quel friulano che gira per il mondo raccogliendo cimeli e che per essere alla festa di Milano si è messo in treno alle quattro del mattino. Gente così andrebbe valorizzata e premiata.
Un premio speciale al Dan Peterson che per descrivere la sua esperienza sulla panchina di Milano ha usato il termine giusto: tremendo. Per lui, che si è goduto una tremenda felicità, per chi lo ama da sempre per la tremenda esperienza fatta a bordo campo quando ci si doveva rendere conto che tutto era così cambiato che neppure un genio come il Nano Ghiacciato avrebbe potuto cambiare il corso delle stelle, facendo diventare relativo il cosmo dei canestri. Dicevamo del librone dove in tanti hanno scritto per testimoniare un momento importante della loro e della nostra vita. Apre la serie Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, chiude il figlio di Vittorio Gassman. Meneghin avrebbe voluto anche una pagina di Lucio Dalla, che ci stava benissimo, ma gli artisti, si sa, non sono mai facili da catturare. Chiusura sempre su Peterson che al momento di premiare l’organizzazione impegnata a divulgare lo sport nel mondo del silenzio dove si comunica soltanto con i segni si è ricordato di aver studiato questo linguaggio mutuato dalle tribù indiane della pianura all’università di Delaware. Ci ha promesso di parlarne, con i segni, in una delle prossime trasmissioni su Sport Italia dove Bruno Bogarelli resta sulla barricata e spera di poter dare al basket quello che, sono parole sue scritte sul grande librone, gli ha regalato nella tumultuosa vita per cercare una Luz.

Oscar Eleni

Share this article