Vuvu mi manchi tu

29 Giugno 2009 di Stefano Olivari

La ola, che purtroppo si sta notando in questi giorni anche a Wimbledon (mai vista tanta gente sbracata in tribuna, complice anche il caldo di Londra), ha stancato ma in fondo nei tempi morti fa spettacolo. La vuvuzela dà invece fastidio a tutti tranne che ovviamente ai giocatori sudafricani che sono abituati: impedisce la comunicazione in campo, non fa sentire bene i fischi dell’arbitro, rende il tifo del pubblico qualcosa di monocorde e di staccato dal senso della partita. Però non si può abolire per legge, se ne è reso conto anche Blatter che dopo avere pensato di vietarla oggi l’ha addirittura esaltata come emblema della cultura locale da salvaguardare. Cosa che in effetti è, ma senza leggende antiche visto che il suo uso è sempre stato calcistico: in lingua tswana (una delle lingue che si parlano in Sudafrica, oltre che quella prevalente nei bantustan: i ghetti neri creati negli anni dell’apartheid istituzionalizzato) alcuni residenti italiani ci dicono che la parola abbia un altro significato (ondata, doccia o pioggia a seconda delle versioni), non abbiamo niente per smentirli, mentre in zulu abbiamo letto sui siti locali che significa semplicemente ‘fare rumore’. Ci sono problemi più gravi, insomma: se a Salonicco hanno mosso i canestri per decenni si potrà sopravvivere anche ad un mese di vuvu.

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