Tutto il resto è noia

6 Luglio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
Il pistolero più bravo, mancino manacorino, si aggira tra le sterpaglie e la sabbia del Campo Centrale; osserva preoccupato le tribune, non vede Eastwood e Volontè, e prosegue rinsavito: nessun fucile nei paraggi. Wimbledon 2010 ci consegna un tir di riflessioni: il federerismo, annunciato da mesi in ritirata, si eclissa ufficialmente; è tempo di interregno nadalista, sulla cui durata potremmo scommettere solo sapendo lo stato di usura delle ginocchia del buon Rafa. Nadal, in futuro, dovrà programmarsi meglio, diradando le occasioni di testare le giunture del suo macchinario bellico. Domenica di intenso allenamento agonistico o poco più: Tommasino Berdych, pur opposto a un avversario meno devastante di quello osservato nei due turni precedenti, ha dimostrato di patire le alte quote di una finale. La più insignificante dai tempi di Hewitt-Nalbandian 2002, che si inserisce in un torneo non certo esaltante dal punto di vista tecnico e spettacolare: la colpa non è sicuramente di Nadal, utilizzatore finale perfetto di una situazione ambientale che si è evoluta (?) nell’ultimo decennio. Il cyber tennis dell’iberico è qualcosa che, col passare dei lustri, potrebbe portare a sviluppi clamorosi: il nadalismo, una scienza che psicosomatizza la vittoria, spiegato ai bambini.
Opposto a Murray, un avversario con le contromosse tecniche per metterlo in difficoltà, durante il secondo set ha scritto il manifesto del suo essere tennistico: si è arrivati sul 4 pari, con lo scozzese chiaramente avvantaggiato nello sviluppo del gioco, malgrado i 12 punti concessi sul servizio dal pentacampeon parigino e i soli due strappati al Vampiro. Uno specchio per la garra e la vis agonistica dell’iberico che nel tiebreak rischia di affondare definitivamente; due ace di Andy, doppio fallo maiorchino e un set point che canta “Rule Britannia”. Qui il minotauro dimostra la sua personalità e aggredisce il nemico sul punto decisivo: lo conclude a rete prendendosi tutti i rischi del caso e spegnendo definitivamente la contesa.
Il resto è invece colpevolmente sottovalutato: la biomeccanica del colpo che ha raffinato (verbo dissonante vista la violenza del gesto) è l’arma letale del suo dominio contemporaneo.
Quel dritto in topspin, dalla rotazione esasperata, è la palla più avvelenata del circuito; evoluzione tutta spagnola dell’arrotata: permessa da un braccio velocissimo, anomalo nella dinamica, e racchette dallo sweet spot generoso. La mentalità vincente, ai limiti dell’ossessione rituale e con atteggiamenti agonistici al di là del Dottor Mabuse, completa il quadro del numero uno del mondo; baluardo impeccabile di uno sport che ha modificato geneticamente la propria essenza, adeguandola ai ritmi di una performance sempre più estrema e stressante.
L’Atp, come i signori dell’All England Club, conta soddisfatta gli incassi ma dovrebbe indicare uno stratagemma per uscire dal deserto intravisto in queste due settimane:
un movimento bipolare, spezzato in due tronconi ben separati che sembrano convivere in una parodia scandalosa alla “Ubu re”. Nei minors, rappresentati egregiamente dai gemelli Godot Murray e Djokovic, ci si spinge appena al due su tre discount; nei majors, parentesi che cannibalizza i resti della portata, la selezione diventa impietosa: in questo Luglio, nelle scarpe di un campione vero, ne è rimasto uno solo. Quello nel pieno della potenza, che fa le comparsate nei video di Shakira, mentre l’altro (pluridecorato) è in declino ed il terzo del club, il gaucho Del Potro, è in bacino di carenaggio. Lo scenario è accentuato da diversi fattori, soprattutto dall’omologazione delle superfici, il mantra che ha travolto (per esigenze di business) anche la proverbiale reticenza britannica ai cambiamenti. “E’ colpa di racchette, corde e campi; la tecnologia andava regolamentata: lo dico da vent’anni, la conseguenza è la noia.” (Martina Navratilova).
Non è mai apparsa così evidente l’inadeguatezza strutturale della nuova Wimby; a sottolineare l’atrocità delle scelte un’estate siccitosa che ha completato il disastro, estetico e tecnico.
Se il 1976, la prima perla di Borg, e il 1993 (con Jim Courier finalista..) furono annate eccezionali, il 2010 sembra una normalità beffarda: il tetto del Centrale, costato milioni di sterline, abbandonato al suo destino e l’erba, che nella prima settimana dava ancora una parvenza antica al panorama, trasformata in terra. Se già il caldo provvede a far rimbalzare più in alto la pallina, si aggiungono i giardinieri moderni: dal 2001, impauriti dai fucilieri alla Krajicek ed Ivanisevic, il manto è diventato più alto (8 millimetri) e compatto. Il dominio di un genio onnivoro come il Mago Merlino, capace di vincere il primo titolo giocando serve and volley e l’ultimo alla Victor Amaya, ha “nascosto” l’assurdo della perennial rye: un fondo più compatto, meno morbido, che ha cancellato le caratteristiche erbivore principali.
Quest’anno si è assistito, negli ultimi giorni, a un torneo su terba prossimo al Roland Garros 2009: il rimbalzo classico, vicino alle tibie, si è trasformato in un colpo ben sopra l’anca.
Con il risultato di favorire le botte composite rispetto ai tocchi (obbligatori fino a dieci anni fa) e l’aggiunta, involontariamente comica, di una selva di lisci dovuti all’irregolarità delle traiettorie. Con un terreno del genere, l’inebriante servizio in kick di Stefan Edberg (che per l’albo d’oro di questo Wimbledon vale un Nadal..) oggi sarebbe preda succulenta di picchiatori da mattonella come Soderling. Guardando spettacoli come la semi Berdych-Djokovic, stilisticamente un incontro su cemento lento, abbiamo pensato allo sconforto di un Ivan Lendl che, sull’erba battuta, avrebbe dato la paga in contanti al Cash di turno.
Nel silenzio più rigoroso, riproponendo le suggestioni della memorabile scena finale di “Blow up”, consigliamo ai custodi del museo delle cere un’opportunità meravigliosa per tagliare definitivamente i costi di manutenzione: asfaltiamo i prati con il calcestruzzo, per i nostalgici coloriamo la spianata di un bel verde speranza, e finiamola con questa tiritera insopportabile.
Dopo aver cancellato il chip and charge, il rovescio in backspin, le volèe, togliamo anche l’estetica bucolica e le fragole con la panna. Il modernariato noioso di questi anni lasciamolo alle mummie e ai faraoni; perchè se questa sarà la tendenza del futuro, la dimostrazione straordinaria di violenza di Rafa (figlio nel dna dell’Orso svedese) sarà solamente a metà del suo cammino di trasformazione.
Arriveranno superuomini alla Dwyane Wade o Terrell Owens e la vallata si oscurerà definitivamente: così facendo riusciremo addirittura a rimpiangere le vesciche di Isner, i vestitini di Serenona e la mamma di Murray.
Simone Basso

(in esclusiva per Indiscreto)
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