Troppo rosa

23 Febbraio 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

Si può dire che il minuto di silenzio per Candido Cannavò, sui campi di tutta Italia, ci è sembrato esagerato? Certo, nel recente passato ci sono stati momenti di raccoglimento dedicati a delinquenti, quindi l’omaggio ad un giornalista famoso e onesto non dovrebbe destare scandalo: però che Giacomo Bulgarelli sia stato ricordato solo prima delle partite del Bologna è una cosa che fa pensare. A chi ha, o ha avuto, un minimo potere e a chi non l’ha mai avuto. Comunque anche fuori dalla sfera pubblica, guardando a nostri familiari o amici senza messaggio di cordoglio di Napolitano e Fini, la retorica del coccodrillo impone che tutti siano stati grandi maestri di qualcosa: Cannavò non fa eccezione. Senza parlare dell’uomo, che non conoscevamo, possiamo però umilmente dare un giudizio da lettori su quello che il giornalista ha rappresentato per la stampa sportiva italiana. Fondamentalmente Cannavò è stato il continuatore dell’opera di Gino Palumbo, nome che ai giovani dirà poco ma che è stato l’artefice di cambiamenti che hanno portato, nel bene e nel male, il giornalismo sportivo ad essere quello che è oggi: l’abbandono del tecnicismo, il superamento della cronaca, l’uso massiccio di interviste e dichiarazioni. Tre pilastri anche della direzione Gazzetta (1983-2002) di Cannavò, con effetti positivi (primo fra tutti le vendite, secondo una maggiore facilità di lettura) ma almeno tre sottoprodotti negativi: la superficialità, la quasi assenza di notizie e la dipendenza dai protagonisti dello sport per le virgolette’, con conseguente diminuzione di critiche vere ed analisi. All’attivo di Cannavò va la molteplicità delle passioni: ciclismo, atletica, Ferrari, in generale qualsiasi disciplina con un campione italiano (senza snobismi, anche la pompatissima Equipe ragiona così). Una visione dello sport che nei 19 anni di direzione gli ha consentito a volte titoli ed aperture di pagina lontane dall’attualità calcistica, a dispetto del marketing, e quindi di mantenere la Gazzetta su un piano per così dire più ‘nobile’ rispetto ai suoi concorrenti. Al passivo, secondo noi, oltre ai problemi prima citati una deferenza esagerata verso la maggior parte dei grandi personaggi dello sport italiano e soprattutto verso i potenti veri (Agnelli, Moratti, Carraro, Berlusconi, Montezemolo, Samaranch, eccetera), riservando il senso critico solo a federazioni sfigate, a boss in declino (ad esempio Moggi, ma solo dopo la cacciata dalla Juve) o a qualche scalatore dopato. E l’idea di fondo che il giornalista debba essere un cantore di grandi imprese: purtroppo non tutti i giorni c’è Coppi che straccia il mondo nella Cuneo-Pinerolo.
stefano@indiscreto.it
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