Solo una corsa centrale da una yard

20 Febbraio 2007 di Roberto Gotta

1. Lo spring football, di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, è ancora lontano un mesetto, ma non è mai il momento sbagliato per ricordare quanto siano rigide – e di conseguenza spesso bizzarre, ma va così – le norme che regolano i contatti tra gli allenatori di college ed i giocatori di liceo, notoriamente ferree. Mercoledì 7 febbraio scorso in America era National Signing Day, ovvero il (primo) giorno in cui i migliori giocatori di high school possono firmare la lettera in cui dichiarano di accettare la borsa di studio offerta da un college piuttosto che da un altro. E’ un giorno che si può paragonare non al primo ma all’ultimo di calciomercato, ovvero preceduto da illazioni (ora in italiano è di moda chiamarle “speculazioni” ma si tratta, con “deflettato” e molti altri termini usati nel parlare del mondo anglosassone, di un orrido errore di trascuratezza e presunzione), ipotesi, bizzarrie, colpi ad effetto. Ci sono stati casi di atleti che a livello locale erano diventati così famosi da convocare una conferenza stampa nella palestra del proprio liceo per dare l’annuncio, e i più smaliziati (loro, o i loro consiglieri, che mai mancano) l’hanno buttata sullo spettacolo puro: nel basket, anni fa, un talento poi non concretizzatosi nella NCAA, Jason Fraser (foto), fece salire sul palco tre ragazze vestite con magliette di diversi college e dopo un balletto andò da quella con la canotta di Villanova e annunciò di volerla scegliere, e trafila quasi identica, con minime variazioni, è stata seguita in altri casi. Ma qui, per quanto sia paradossale, siano nella normalità.
2. Meno normali, appunto, sono certi comportamenti e certe regole. Primo, si narra che un giorno Matt Doherty, all’epoca coach di North Carolina (basket), sia andato al di fuori della casa di un liceale che ambiva portare ai Tar Heels e, indossando una vistosa maglietta del celebre colore Carolina Blue, si sia limitato a fare quel che poteva fare, ovvero non rivolgere la parola al ragazzo – era un periodo “vietato” – ma solamente fargli ciao con la manina mentre questi, attonito, saliva in auto per andare a scuola. Ed eccoci a Urban Meyer, coach di Florida campione NCAA nell’ultima stagione (football, ora): giovedì 8 febbraio era stato invitato a tenere un discorso nel salone parrocchiale della First Presbyterian Church di Lakeland, in Florida, nell’ambito di una serata di festeggiamenti per la Lakeland High School, che a inizio inverno aveva vinto il campionato statale per la terza volta consecutiva. E no! Ha detto la NCAA. Le norme vietano qualsiasi contatto verbale, anche unilaterale, tra coach di college e giocatori di liceo nelle 48 ore prima o dopo il National Signing Day, ed oltretutto Meyer aveva offerto una borsa di studio (ovviamente accettata: chi è che non vorrebbe giocare nei Gators?) a sette membri della Lakeland High. Per cui, atterrato all’aeroportino della città, ha acceso il cellulare, trovato otto messaggi che lo avvertivano della violazione se avesse parlato, ed è semplicemente tornato indietro.
3. Con il licenziamento di Marty Schottenheimer da parte dei San Diego Chargers, che l’hanno sostituito con Norv Turner (ex San Francisco), sono sette i coach NFL che hanno perso o lasciato il lavoro rispetto alla stagione 2006 (i playoff si disputano a inizio 2007 ma la stagione ufficialmente è quella 2006). Negli ultimi anni la pazienza di proprietari e general manager si è accorciata, per una serie di motivi: come è dimostrato da una semplice occhiata all’albo d’oro, la NFL è la lega pro che permette al maggiore numero di squadre ogni anno di puntare alla vittoria finale, e sono realmente poche quelle che ad inizio stagione possono dirsi certe di NON avere i mezzi per arrivare al Super Bowl. Per dire, i New Orleans Saints 2006 erano attesi ad una stagione mediocre, ed hanno invece sfiorato il SB, così come i Carolina Panthers si sono sfaldati ed hanno deluso, quando invece era pienamente possibile che il loro organico valesse quantomeno i playoff. Per questo motivo, alcuni tra coloro che detengono il potere possono in ogni momento convocare l’head coach e chiedergli come mai, se New Orleans (o lo scorso anno la squadra campione Pittsburgh, che ad un certo punto era 7-5 e ad un passo dal mancare i playoff, anche se l’organico era di alto livello) riesce a ribaltare i pronostici, non può riuscirci anche lui. Se la risposta ed i risultati non sono convincenti, a casa. Mentalità errata, ma comprensibile.
4. Quello di Schottenheimer (foto) è però un caso al tempo stesso assurdo e prevedibilissimo: i Chargers hanno sì chiuso 14-2 e dunque con il miglior bilancio di tutta la NFL, ma anche perso immediatamente ai playoff, dove Schottenheimer, 63 anni, ha 5-13, spesso alla guida di ottime squadre (ricordate i Browns di fine anni Ottanta?), è spesso accusato di non avere sufficiente spregiudicatezza tattica quando conta. Certo, se un cornerback (Marlon McCree) intercetta un passaggio cruciale nella partita di playoff contro New England ma si dimentica di tenere stretta la palla e se la fa strappare, dando ai Patriots la possibilità di segnare un touchdown decisivo, che c’entra il teorico atteggiamento perdente del coach? In soldoni, la cacciata dell’allenatore nasce solo in parte da questo sospetto, al quale peraltro la dirigenza dei Chargers non aveva mai dato molto peso, e solo in parte dai ben noti contrasti tra Schottenheimer e il general manager AJ Smith, ritenuto tra i migliori della NFL ma in scarsa armonia con il coach sui nomi dei giocatori da firmare. A Schottenheimer era stato proposto un prolungamento contrattuale di un anno (fino al 2009) da 4.5 milioni di dollari che però il coach, volendo maggiore durata, aveva rifiutato. Risentiti per il rifiuto, Alex Spanos (il proprietario) e Smith avevano comunque preso atto dell’anno di contratto ancora rimanente, ma il bluff, e che bluff, si è scoperto quando ben cinque assistenti del coach hanno accettato un contratto altrove. Cam Cameron, ex offensive coordinator, è diventato l’head coach dei Miami Dolphins, Wade Phillips, defensive coordinator, ha preso – destando grande sorpresa, visto che in precedenza nel ruolo non aveva brillato – analogo incarico ai Dallas Cowboys, Rob Chudzinski, coach dei tight end, è diventato offensive coordinator di Cleveland, il coach dei linebacker, Greg Manusky, defensive coordinator dei San Francisco 49ers, mentre il preparatore atletico Matt Schiotz ha seguito Cameron in Florida.
5. Schottenheimer era soddisfatto degli sviluppi: in genere, un head coach, se ha un buon rapporto con i suoi assistenti, è contento di vederli crescere ed ottenere alti incarichi altrove, e in più un club non può impedire ad un assistente di effettuare un colloquio con un’altra squadra se in ballo c’è un posto da capo allenatore, dunque un movimento verso l’alto. Può però bloccare trasferimenti per così dire orizzontali, da assistente ad assistente, e quando Schottenheimer non ha voluto bloccare Manusky, Chudzinski e Schiotz dirigenza e proprietà dei Chargers si sono sentiti traditi: «quando ho deciso di proseguire con Marty a metà gennaio l’ho fatto con l’idea che il nucleo del nostro ottimo staff sarebbe stato lo stesso – ha detto Spanos – Ma non è stato così e nell’affrontare questi cambiamenti mi sono reso conto che semplicemente non si poteva andare avanti con un rapporto così minato alle fondamenta come quello tra il nostro coach e general manager». In pratica: Schottenheimer era stato confermato perché pur con eventuali difetti aveva un grande circolo di assistenti, ma partiti quelli il re è rimasto nudo, e anche se a San Diego si sta di stralusso, nudi non è proprio il caso di farsi trovare.
6. A proposito di Chargers e Cameron, un episodio narrato in novembre da espn.com ci può aiutare ancora una volta a capire come sia complesso il football, ben più – lo ripeteremo fin che ci sarà questa rubrica, e non ce ne scusiamo – di una semplice mischia come i malafedisti vogliono far credere. Si parla qui di Philip Rivers (foto), il quarterback

dei Chargers al terzo anno di NFL, il primo in cui ha effettivamente giocato, vista la partenza di Drew Brees. Un aspetto non molto noto del football è che moltissimi offensive coordinator decidono preventivamente i primi 20-25 schemi di una partita: ovvero, fanno un elenco che può essere corsa centrale, lancio lungo, lancio laterale, corsa a destra, corsa centrale, lancio, lancio, lancio e così via, ovviamente designando le azioni con i loro nomi in codice, e rispettando nella stragrande maggioranza dei casi l’ordine. Il quale viene ovviamente studiato in base alle caratteristiche dell’avversario; saranno poi quelle prime 4-5 serie offensive a dare indicazioni per il resto della gara, e lì l’offensive coordinator e l’head coach valuteranno quali scartare, quali usare maggiormente e quali, tra le rimanenti, tirare fuori. Ebbene, in allenamento, Rivers si accorse che un particolare schema non aveva funzionato: si trattava di ricevere lo snap dal centro, fingere di guardare verso destra poi lanciare a sinistra, ad una profondità di circa 10 yards per il ricevitore Eric Parker, che nell’huddle, sentendo chiamare il codice dello schema, sapeva di dover correre alla massima velocità più o meno quelle dieci yards poi voltarsi con un bella piantata di piede perno, e ricevere la palla (traiettoria che si chiama “stop”). Peccato che il safety, ovvero uno dei due difensori arretrati (defensive backs) che genericamente parlando controllano la parte centrale del campo, avesse intuito e, scattando in avanti un attimo prima che Rivers lanciasse, avesse intercettato. Arriva la domenica mattina e nella sua camera, studiando il libro degli schemi con l’appendice delle tendenze previste per la partita di quel giorno (contro Cleveland), Rivers scopre che Cameron ha inserito come terzo da eseguire proprio quello che in allenamento era finito con l’intercetto. Che succede allora? Che Rivers sa cosa può accadere se vede il safety (dei Browns, chiaramente) un po’ più vicino alla linea di scrimmage, ed eseguendo il lancio mira mezzo metro più verso l’esterno che non verso l’interno; Parker – pure lui resosi conto di quel che si dovesse fare di diverso rispetto al venerdì – lo sa, riceve ed è primo down per San Diego, 10 yards guadagnate. 7. Per capire ulteriormente come il football sia una continua partita di mosse e contromosse, immaginate ora che il suddetto safety, beffato una volta, sappia ora come comportarsi nel caso vedesse ripresentarsi la stessa formazione ed avesse la sensazione che sta per essere eseguito il medesimo schema. Semplice, si butta avanti ancora prima, o in accordo con il defensive coordinator sa che il cornerback deve costringere Parker (o chi per lui) a non eseguire correttamente la traiettoria, incrinando il sincronismo che in questi casi è cruciale. Ma immaginandosi questo sviluppo l’offensive coordinator potrebbe a sua volta avere suggerito a Parker di correre una stop-and-go: dieci yards, giro potente sul piede perno fingendo di voltarsi a ricevere il pallone, poi ripresa della corsa. Se il safety e il cornerback abboccano alla finta di lancio corto e fanno un passo avanti, il ricevitore teoricamente non ha più nessuno che lo segua e se ben servito dal quarterback può ricevere e correre fin che vuole. Ad ogni azione, ad ogni snap per dirla in lingua madre, può accadere che l’attacco abbia pronosticato la scelta difensiva e sia già in grado di batterla, o che sia avvenuto il contrario, ovvero che la difesa, tramite studio dei filmati delle partite precedenti e della partita in corso, abbia previsto quel che sta per accadere e sia pronta a fermarlo. E’ per questo che i quarterback a volte, arrivati alla linea di scrimmage, cambiano gli schemi o addirittura chiedono timeout, è per questo che anche una corsa centrale di una yard, che in televisione può apparire insignificante, in realtà non lo è.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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