Sempre colpa della tivù

14 Aprile 2010 di Alberto Facchinetti

di Alberto Facchinetti
Il luogo comune vuole che il giornalismo sportivo abbia azzerato la sua credibilità per colpa delle forzature che il video impone. E’ davvero così o semplicemente siamo di fronte a gente scarsa?
Le trasmissioni delle tv locali hanno cambiato il giornalismo sportivo della carta stampata? Tre importanti giornalisti sportivi italiani ci hanno descritto una situazione poco rassicurante.
“L’urlo – scrive Gianni Mura – ha cancellato la parola, l’iperbole la normalità, la passionalità la passione, la faziosità il ragionamento. In passato qualche eccesso c’è stato, ma adesso è la regola. C’è molta omologazione in giro”. A fare autocritica ci pensa Roberto Beccantini: “La mia generazione ha fallito: il sottoscritto in testa. Consegniamo ai giovani uno sport malato e un calcio più marcio di quello che ricevemmo in eredità dai Brera e dagli Zanetti. Ci sono troppi conflitti di interessi. Il rotocalco è diventato borotalco. Si usa troppa cipria. La faziosità ha sbriciolato il Piave della credibilità. Va di moda l’incompetente di successo. Le domande normalmente serie vengono considerate attentati di lesa maestà. Mancano, nel giornalismo sportivo, cronisti d’assalto capaci di condurre inchieste come Dio comanda. Prova ne sia, il doping: fu Zeman ad aprire le farmacie. Un allenatore, non un giornalista. . La mia generazione ha pronunciato troppi sì e pochi no”. Mario Sconcerti ricorda pure lui i tempi che furono: “Com’è lontano il tempo in cui i cronisti di politica o di economia copiavano i loro colleghi sportivi. Per migliorarsi”.
C’è da chiedersi quindi di chi sia la colpa, se la situazione è questa. E quello che abbiamo domandato ai giornalisti intervistati. L’abbassamento di livello del giornalismo sportivo è dovuto anche alle trasmissioni sportive trasmesse dalle tv locali: una metà degli intervistati è colpevolista, l’altra non lo è e cerca da un’altra parte i motivi di questo degrado. Non sembra dunque essere tutto figlio della sentenza 202 con la quale la Corte Costituzionale dichiarò legittime le emittenti private operanti via etere “di portata non eccedente l’ambito locale”. Era il 28 luglio 1976, finiva il monopolio Rai. In quegli anni il volto del giornalismo sportivo cominciò, per una cosa o per l’altra, a cambiare. Prima era diverso. Per Sebastiano Vernazza “negli anni Sessanta e Settanta, in Italia il massimo della trasgressione tele-calcistica era rappresentato dalla tv svizzera, dove le telecronache delle partite erano affidate a Giuseppe Albertini, un signore che diceva punto anziché gol e che non cambiava tono di voce neppure di fronte a una rovesciata di Cruijff con triplo salto mortale incorporato”.
Emanuele Gamba è colpevolista nei confronti delle tv locali, ma fa un discorso più ampio: è la televisione in generale, non soltanto le emittenti locali, ad avere trasformato il modo di fare il mestiere del giornalista. “Non soltanto nello sport, ma anche negli altri settori del giornalismo, la stampa scritta si è appiattita sul modello televisivo. Lo ha copiato anziché fargli concorrenza, e non a caso l’Italia è il paese europeo in cui si vendono meno quotidiani e non soltanto per la storica ritrosia dell’italiano a dedicarsi alla lettura. La televisione ha imposto un modello di superficialità che si è man mano esteso alle redazioni dove, a causa di una specie di circolo vizioso, si è moltiplicato lo spazio a vantaggio dei tribuni televisivi: si pensa che se fanno audience, possono contribuire anche a vendere più copie. In televisione prevale il dibattito sterile, urlato e limitato a pochissimi temi (quindi a pochissime squadre, nel caso del calcio): i giornali si sono adeguati. Il concetto di approfondimento ormai è sconosciuto. Del resto, se i giornalisti sono sempre in televisione e quasi mai allo stadio, o al campo d’allenamento, come possono aggiornare le loro conoscenze?”.
È d’accordo con Gamba il suo collega di Repubblica, Andrea Sorrentino: “Senz’altro il livello si è abbassato e senz’altro la colpa è di certe trasmissioni, dal Processo in giù. La continua ricerca del titolo sulla polemica del giorno, che affligge i giornali da alcuni anni, è figlia del successo di pubblico di certe trasmissioni. Praticamente tutti i giornali hanno abboccato all’amo, andando dietro alla tv, e ora ne vediamo le conseguenze”. Ma per Sorrentino la colpa è anche della stampa. “L’errore è ovviamente dei giornali, che dovrebbero mantenere un livello più alto rispetto a certe immondizie”. La tv è un brutto modello che il giornalismo ha voluto seguire, anche nei quotidiani: è la tesi di Italo Cucci. “Il giornalismo sportivo ha certo subito l’esempio televisivo, ma è andato oltre con le sue gambe e le sue teste. Non dimentichiamo che le famose Bombe di Mosca – scoop di mercato proposti da Maurizio Mosca spesso in chiave paradossale – hanno trasformato i quotidiani sportivi in bombe quotidiane. Svolta storica di un settore che, pur fra tante difficoltà, non aveva mai rinunciato all’intelligenza”. Anche per Gianni Mura le trasmissioni delle locali hanno condizionato il giornalismo sportivo “negativamente. In economia si dice che la moneta cattiva scaccia quella buona. Nel giornalismo è la stessa cosa. Il livello sempre più basso e sempre più gridato (o drogato) dell’ informazione sportiva si spiega anche così”. Non solo colpa delle tv, ma anche di “scelte editoriali sbagliate. Abbiamo anche noi i nostri ultras, tirano il sasso e nascondono la mano”. E aggiunge: “Anticipo un danno prodotto da queste trasmissioni. Per il pubblico, Corno e Crudeli sono giornalisti. E lo sono, innegabilmente, ma il secondo passaggio è arbitrario. Questo passaggio: tutti i giornalisti sono così. Gente che non si sovrappone, non urla, non insulta non fa il gioco della trasmissione, quindi non viene invitata. E comunque (parlo per me) se anche la invitassero non ci andrebbe, vista la compagnia di giro”. Colpevolista anche Giancarlo Dotto. “Giornali sportivi e comunque il giornalismo sportivo hanno assunto negli anni la disinvoltura assoluta come metodo, nel riportare le notizie, nel tracciare titoli e profili. Titolo strillato oggi, domani è già smentito dai fatti, ma non importa, si riparte in un’altra direzione. E’ un gioco al massacro ormai accettato da tutti”. Ma non è solo colpa della tv. “A forza di urlare – ci ha risposto Maurizio Crosetti – e di inseguire la tivù in ogni piega dei palinsesti, dei linguaggi e degli argomenti, una parte non esigua del giornalismo scritto si è involgarita. Ma chi l’ ha fatto, era già molto dotato di suo. Possedeva, intendo, una forte predisposizione naturale”.
Per Gianpiero Scevola “il livello del giornalismo si è abbassato perché è andato di pari passo coi tempi. Cambiano gli usi e i costumi, è cambiato anche il modo di fare giornalismo. È un’evoluzione naturale, ma non è detto che sia meglio, anzi, tutt’altro. Certe trasmissioni (vedi quelle di Biscardi) hanno poi accentuato negativamente questo cattivo andazzo, con un modo urlato che ha portato qualche giornalista a comportarsi così anche nella scrittura”.
Per Giorgio Micheletti la tv ha modificato il modo di fare giornalismo sulla carta stampata. Ma non necessariamente in negativo. “Almeno nel trattare l’argomento con un altro linguaggio. Un linguaggio che sia molto più vicino al parlato che allo scritto, un linguaggio che se si vuole è stato contaminato dall’unità di misura della tv, che è il tempo, a scapito di quella dei giornali, che è lo spazio. Sicuramente poi i giornali hanno anche subito una sorta di sollecitazione nella trattazione della notizia dato che non puoi ignorare la presa che un argomento ha in tv. Perché ignorare qualche cosa che ti fa vendere copie, soprattutto se la sera prima ha fatto fare numeri alla televisione? Esempio: se faccio (ovviamente in una tv che abb

ia un peso specifico notevole) una trasmissione sul rientro di Adriano, il giornale sa che ne deve parlare dato che il giorno dopo il telespettatore diventa lettore e si aspetta di trovare, tanto o poco che sia, un accenno all’argomento della sera prima”.
Beccantini invece, molto duro nel tracciare il quadro della situazione del giornalismo sportivo, non è assolutamente colpevolista nei confronti della tv. “Il declino del giornalismo sportivo è colpa di noi giornalisti sportivi. Mai confondere il contenitore (talk show, giornali, eccetera) con il contenuto”. Massimo Norrito punta il dito sulle scelte editoriali. “Ci sono giornali che fanno di certe scelte di campo una loro precisa linea editoriale. Le trasmissioni c’entrano poco. Per fortuna ci sono ancora giornali che fanno lo sport in un certo tipo e anche, purtroppo rare eccezioni, trasmissioni che non urlano. Nella stragrande maggioranza dei casi però chiunque si mette in mano un microfono, va in onda senza fare distinzione tra uno studio televisivo e una curva dello stadio”.
Per Ivan Zazzaroni è colpa “dello scadimento della qualità dei giornalisti, della mancanza di scuole e maestri, di artigiani veri. Colpa degli editori, anche: hanno privato i giornali dell’esperienza dei sessanta-settantenni. Il giornalismo è soprattutto esperienza, visto e vissuto, essendo un mestiere e non un lavoro”. La tv non c’entra nulla. Stessa cosa per Stefano Olivari. Perché “raramente questi programmi regalano notizie bomba o fanno opinione in modo tale da far ribaltare le pagine dei quotidiani o il modo di scrivere dei giornalisti. E’ una cosa antipatica da dire, ma chi viene dalla carta stampata in televisione prima o poi riesce ad adattarsi, mentre chi nasce come televisivo puro non riuscirebbe a scrivere nemmeno il più sciatto articolo dell’ultimo dei cronisti della carta stampata. Poi il giornalismo su carta dovrebbe evolversi nella direzione dell’analisi, del retroscena e del commento più di quanto già non abbia fatto, ma questo è un altro discorso: le trasmissioni delle tivù locali non c’entrano, qui si parla di specificità del mezzo”. Paolo Ziliani non vede nessuna connessione tra l’abbassamento del livello del giornalismo sportivo in Italia e la produzione di trasmissione sportive nelle tv. “La tivù, col passare del tempo, è diventata sempre meno bella e sempre più volgare. L’imbarbarimento dei programmi sportivi è stato forse meno forte rispetto a quello dei programmi cosiddetti d’intrattenimento: in confronto a Buona Domenica e a Domenica In, per fare un esempio, Controcampo e La Domenica Sportiva sembrano l’Accademia della Crusca. Non vedo comunque che nesso ci sia tra scadimento qualità programmi sportivi e scadimento qualità giornali sportivi. Se sei bravo, puoi fare buona tivù sportiva in assenza di buona stampa sportiva, e viceversa”.
Controcorrente invece, è Sandro Piccinini. Per lui “il livello del giornalismo sportivo scritto in Italia è altissimo. Nessun paese ha tanti bravi giornalisti sportivi come in Italia. Non confondere la qualità di chi scrive con il tenore (spesso esasperato) di un titolo. I giornali, comunque, non inseguono la tv, né viceversa. Tutti quanti inseguono il pubblico… (e gli incassi)”.
Ma è colpa delle tv locali, e più in generale di tutta la televisione, se il mestiere del giornalista s’è così imbarbarito? Se nel confronto – per fare un esempio – con il giornalismo degli anni Sessanta, quello di oggi ne esce con le ossa rotte? Abbiamo messo di fronte la questione ai giornalisti. Per capire se la sentenza 202 della Corte costituzionale abbia in realtà sancito anche la fine del giornalismo sportivo di qualità. Dei giornalisti che abbiamo intervistato una metà vede chiaramente le tv locali almeno come una concausa dell’ abbassamento del livello del giornalismo sportivo. L’errore da parte dei giornali è stato quello di seguire tutta la televisione, che si è involgarita dopo la nascita di queste tv locali che del senza vergogna hanno fatto quasi un marchio di fabbrica. Il giornalismo ha voluto seguire le orme della televisione, che di suo è superficiale e non predisposta all’approfondimento dell’evento sportivo (sia livello tecnico, sia a livello umano). D’altra parte sono molti anche quelli che pensano che le tv locali non c’entrino proprio nulla. Che le colpe vadano cercate altrove. Perché la categoria avrebbe potuto comunque prendere una strada diversa da quella intrapresa dalla tv. Che il giornalismo, tutto non solo quello sportivo, segua quello che si vede in tv (e non soltanto quello che succede nella realtà) è un dato di fatto. Però, prendere dalla tv la parte peggiore, quella è una libera scelta. Infine, se il giornalismo andasse via via a parlare di più alla gente e meno agli addetti ai lavori, usando una lingua scritta che sia più vicina a quella parlata, la cosa potrebbe rappresentare una facciata positiva del rapporto con la tv.
Alberto Facchinetti
(per gentile concessione dell’autore, fonte: ‘Il giornalismo sportivo. Il rapporto tra la carta stampata e le tv locali da Gianni Brera ad oggi’, tesi di laurea in discipline dell’Arte, Musica e Spettacolo all’Università di Padova, anno accademico 2006-2007)

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