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Cosa ce ne frega di Jarry-Paul

Stefano Olivari 17/05/2024

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Le semifinali Zverev-Tabilo e Jarry-Paul sembrano studiate apposta per cacciare il pubblico dagli Internazionali d’Italia di tennis, se non fosse che gran parte di questo pubblico il biglietto lo ha già comprato. Sperando, per l’albo d’oro di Roma, che vinca Zverev (ma mentre pubblichiamo questo post ha perso il primo set…), la nostra considerazione è scontata ma non per questo meno fondata: i Masters 1000 combined con l’equivalente femminile e spalmati su 12 giorni, di fatto due settimane come gli Slam ma con un tabellone a 96 giocatori, stanno stancando anche il pubblico più motivato, figuriamoci quello calciocentrico del tipo ‘Sinner o niente’. Stiamo parlando di Indian Wells, Miami, Madrid, appunto Roma e Shangai, con presumibile aggiunta futura degli altri in una corsa al gigantismo che porta ad infortuni, è vero, ma soprattutto a ritiri preventivi.

Una situazione che non piace ai giocatori più forti, come sottolineato da Ubaldo Scanagatta, che a volte viene neutralizzata dallo stato di forma di qualcuno di loro ma che più spesso genera tabelloni con molti buchi. Dati tutti i meriti del caso a Tabilo, che a Madrid aveva perso da Cobolli, a Jarry che con Tsitsipas ha fatto una rimonta pazzesca (per come stava giocando il greco, anche) e alla grande stagione di Paul che è pur sempre il 16 del mondo, la nostra considerazione è che il calendario attuale ed i sogni di gloria, quinto Slam e dintorni, di tanti Masters 1000, sono basati sul mondo irreale di Federer, Nadal e Djokovic, che non esiste più dal 2019, di fatto l’ultimo anno di Federer, e che quest’anno con il ritiro di Nadal e quello possibile di Djokovic potrebbe diventare definitivamente storia.

Federer, Nadal e Djokovic non sono stati soltanto i tre tennisti che hanno dominato questo sport dal 2003 al 2023, e forse i tre più grandi di sempre, ma erano (sono) mossi da un fuoco che li portava a dare il massimo anche negli appuntamenti di livello medio-alto come i Masters 1000, che già ad inizio carriera gli spostavano poco come prestigio e come incassi, nel quadro generale: Djokovic ne ha vinti 40 (!!!), Nadal 36 (!!), Federer 28 (!). Il quarto è Agassi con 17… Era ed è gente orgogliosa ed ossessionata, che certo faceva i propri calcoli ma soprattutto non voleva fare brutte figure, né a Roma né a Cincinnati. Il passo falso di qualcuno di loro apriva la strada agli altri due o al Murray della situazione, qualche volta anche a un Davydenko o a un Soderling, però uno dei tre grandi in qualche modo riusciva ad arrivare fino in fondo e salvare mediaticamente (perché di questo si sta parlando, visto che nel tennis vince sempre chi merita) i tornei.

In particolare Roma dal 2005 al 2022, 18 edizioni consecutive, ha avuto come finalista almeno uno di loro tre, con 10 vittorie di Nadal (più 2 finali), 6 di Djokovic (più 6 finali perse), 3 finali di Federer (che nel 2003 ne aveva persa un’altra con Mantilla), con le 2 vittorie mancanti prese da Murray e Zverev, battendo in finale in entrambi i casi Djokovic. E quindi? La prima regola del gigantismo è che indietro non si torna, neppure di fronte all’evidenza, quindi gli appassionati di tennis nei prossimi anni dovranno fare poco gli schizzinosi con una semifinale di Masters 1000 Jarry-Paul.

stefano@indiscreto.net

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