Rosewall e gli anni rubati

9 Ottobre 2009 di Simone Basso

di Simone Basso

1. Accade talvolta, nella storia dello sport, che una stirpe sequestri quasi integralmente una specialità: fu così per fondo e mezzofondo nordico, quasi un secolo fa, o per il ciclismo belga che ruotò attorno a Eddy il Cannibale e le sue razzie. Nel tennis,a partire dagli anni Cinquanta, cominciò la dittatura gioiosa degli australiani: ad accendere la fiamma,proponendosi come precursori del tennis moderno, Lew Hoad e Ken Rosewall. I Whiz Kids cambiarono il corso della storia, da autentici bimbi prodigio, portando una dimensione nuova ai gesti bianchi. Nati a soli ventuno giorni di distanza, i gemelli diversi spostarono in là, verso il futuro, l’immaginazione nel gioco. Lew introdusse un atletismo sconosciuto fino a quei dì, esasperando la velocità e la potenza: una ispirazione vera per il resto del mondo, con quei colpi potenti, esplosivi, sempre al limite.
2. Tanto quanto era prepotente e macho il biondo del South Wales, così era raffinato ed elegante il gioco del moretto di Sydney. Mingherlino, soprannominato ironicamente Muscles per la struttura fisica esile, opposto al “fratellone” anche per il carattere schivo e introverso. Il Piccolo Maestro, proprio come il compagno di doppio, inventò le righe nel tennis: ma con un gioco basato sulla perfezione, mai sulla forza bruta, un’estenuante ricerca della musicalità nei tocchi. Se Hoad fu esplosivamente subito se stesso, Rosewall lo divenne progressivamente, cesellando la propria arte nella virtù del miglioramento. Non vantò mai un servizio degno del resto del suo arsenale, tecnicamente formidabile. Mancino naturale, fu impostato destro dal padre fanatico di tennis: fu forse quella costrizione a generare, sul proprio lato sinistro, il suo celeberrimo rovescio. Il gesto più regale della storia, uno dei rarissimi casi che accumuni bellezza estetica e praticità agonistica; un unicum, il movimento perfetto, assoluto. Come i piedi magici di Toni Sailer, la combinazione tacco punta di Jacques Anquetil, la mano destra di Julius Erving. Poche altre visioni del Novecento sportivo giustificarono e spiegarono l’essenza di un’attività motoria che, con quello schiaffo divino, divenne poesia in movimento.
3. Rosewall, nel 1953 a Parigi, inaugurò l’epopea aussie; Hoad la confermò, spostando i limiti verso il cielo. L’arrembante Lew arrivò a un passo dal completare il Grande Slam: la finale americana del 1955 fu forse l’incontro più importante di sempre. I Whiz Kids si contesero, quel giorno a Forest Hills, la gloria e le monete: la prima, per Lewis, sarebbe stata eterna; le seconde, per Ken, si materializzarono dopo la vittoria sull’amico rivale. Muro di rosa, anticipando di un anno il biondo, firmò con i professionisti di Jack Kramer e abbandonò il dilettantismo ipocrita. Nessuno, nemmeno Pancho Gonzales, pagò come Muscles quella scelta sui libri della storia tennistica: gli undici anni di assenza dai tornei dello Slam lo privarono di un’infinità di titoli. Un tennis che rifiutò la logica statistica dell’evidenza: i tre major del circuito dei campioni (Us Pro, Paris-Coubertin e Wembley) furono gli unici veri Slam di quel decennio. E Piccolo Maestro, all’apice della carriera, se ne aggiudicò quindici.
4. Le sfide con quel fenomeno di Rod Laver furono indicative: nel 1963 Rocket, reduce dal Grande Slam dei “dilettanti”, fu letteralmente dominato. Proprio quel duello classico cinque anni dopo, a Bournemouth, inaugurò l’era open: Rosewall se l’aggiudicò, così come il Roland Garros a quindici anni dalla prima vittoria. Sempre con il rosso mancino, nel 1972 al Wct di Dallas, disputò l’incontro più incredibile di quella era. Le magie dei maestri australiani, costruite sui fraseggi e gli scambi con l’avversario: nient’altro che il gioco puro, proprio quel che oggi è stato soffocato a pallate. Muro di rosa, longevo quanto precoce, a 35 anni fece ancora suo lo Us Open e nel 1974 provò a sfidare, per l’ennesima volta, il tempo e il destino. Si infranse in finale, sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, sull’allora numero uno Jimbo Connors. Il moccioso(di diciotto anni più giovane…) lo abbattè senza scrupoli, negando all’artista australiano quel titolo a Wimbledon che un regolamento assurdo, negli anni dell’apogeo, gli aveva impedito di far suo.
5. Terminò la carriera a 45 anni, dopo 25 stagioni nei primi venti (!), e mai sazio di tennis si iscrisse subito ad un torneo veterani: l’amore per il gioco fu la sua benzina pulita; quella classe infinita il visto per l’immortalità. Nel 1994 il Bambino Stregone più robusto, quello che nei locali lo difendeva dai prepotenti, andò avanti lasciandolo solo. Oggi Ken è un nonno che quando colpisce la palla sul rovescio, per qualche frazione di secondo,ferma ancora l’avanzare dell’orologio: il genio e la passione distraggono anche un dio Crono ammirato.
Simone Basso
(In esclusiva per Indiscreto)
Share this article