Miracolo di Vino

27 Luglio 2007 di Stefano Olivari

1. Si fantastica di una manovra d’emergenza di Hein Verbruggen, volta a esercitare la più insostenibile delle pressioni sul noto team ProTour olandese, richiedendo a gran voce il licenziamento in tronco di un suo dipendente corridore. Si vocifera di un complotto anti-McQuaid, ordito da un’alleanza trasversale ai gruppi sportivi, ormai nettamente schierata con l’ASO. Si accredita persino l’ultima cassanata. Fatto sta che Michael Rasmussen, attualmente irreperibile e sai la novità, infine son riusciti a farlo fuori, chissà come chissà perché, magari in qualche modo e appena in tempo, lui che comunque dentro questo Tour, del resto, manco ci doveva entrare, ma neanche per sbaglio. Giusto a proposito di tempismo. Giro del Veneto 1983. Guarda un po’: a precedere un giovane e già sgamato Davide futuro telecommentatore, ci pensa un mai più fulmineo come allora Jesper Worre, ri-guarda un po’, passato poi alla presidenza del suo ciclismo nazionale. Curiosamente, ventiquattro anni dopo, le parti dei due s’invertono. Il moro romagnolo pettina ben bene il biondone del nord. Il primo impiega sedici tappe per incastrare l’uomo «che sarebbe meglio non vincesse», per dirla con la sincerità irresponsabile del capo dell’UCI. Il secondo impiega quasi un mese per incastrare il massimo evento ciclistico mondiale, facendo sapere che quello stesso uomo che sta correndo e vincendo e finendo la Grande Boucle, in realtà sarebbe stato meglio non l’avesse nemmeno iniziata (il 26 giugno arriva da Aigle la comunicazione che il fuggitivo Rabobank scappa dai controlli a sorpresa). E dire che Clerc e Prudhomme, a nome dell’organizzazione, si erano appena liberati del Rijs amaro 1996. Per l’anno che viene, piuttosto che riavere altro marcio da Copenhagen, s’immagina che a Parigi possano essere disposti a tutto, persino a uno scambio da commedia disneyana degli equivoci: ancora ancora vada per quattro Basso, e per anche uno solo di ‘sti dannati danesi.
2. Come se per il trattamento di quindici punti di sutura a ginocchio, e altri medicamenti e fasciature e cerotti e garze varie ed eventuali, il chiacchieratissimo capitano (con chiacchieratissimo preparatore) di una ugualmente chiacchieratissima formazione dell’est, avesse poi dovuto essere affidato, in esclusiva stampa, unicamente alle silenziose e amorevoli cure di tante crocerossine improvvisate, anziché al regolare trattamento giornalistico della mutua. Come se al miracolo della trasformazione di Vino in corridore a pane e acqua, qualcuno avesse davvero potuto crederci sul serio. Anche da sobrio.
3. Il più incredibile (o meno credibile) degli sport professionistici, quello che fa dubitare anche il cartesiano Sconcerti, garantisce il suo disordine con un certo metodo. In sintesi: chi deve decidere decide di non decidere, chi deve discutere discute ancora sul come discutere, chi deve trattare insiste a trattare, ma solo perché non si tratti mai più. E a meno che non si tratti proprio di lui, o della sua categoria. Il sistema, unanimemente considerato fallimentare, funziona che certo non sarà una meraviglia: eppur muove quattrini. Soldi che in una catena economica (da scuola) elementare, si direbbe seguano e precedano un’offerta televisiva e una domanda di pubblico. Per ora, facendo bene i conti, la fuga degli sponsor e quella delle reti TV somiglia tanto agli scattini di Contador sull’Aubisque, roba da forza della disperazione e grande debolezza di gambe. Il mercato, concetto che anche i canali del servizio pubblico tedesco hanno in mente, tollera di tutto fuorché un «quadro instabile», un «assetto generale incerto» e altra retorica da capitalismo con capitale, altro che senza e altro che testosterone di Sinkewitz. Ora: di questa stabilità di fondo e di questa certezza a prova di ROI, checché ne dicano Cassandre sedicenti ragioniere, il ciclismo di vertice continua ad essere piuttosto dotato, nonostante la sconvenienza di una politica dirigenziale ingessatissima. La Coppa del mondo 1989-2004 aveva tanti difetti, non quello della depressione dei grandi giri e delle classiche (i primi nemmeno erano compresi, nella challenge), magari a favore della presunta crescita di nuove prove ancora tutte da dimostrare. Il calendario ProTour, ammessi gli Eindhoven Team Time Trial e gli Eneco Tour, non concede allo spettacolo quanto dovrebbe: è troppo fitto, dilatato, indifferenziato. Per intanto Sat.1, in Germania, mostra soddisfatta i vari Gerdemann e Zabel della situazione. Consumatori e inserzionisti gradiscono. E volentieri continuano a pagare.
4. Come se il partito di Savoldelli non fosse esattamente lo stesso per il quale il vincitore di due Giri d’Italia si è candidato alle ultime elezioni regionali, nella sua Lombardia. No, non proprio quel movimento politico organizzato attorno a un leader ultracarismatico, metapersonaggio che di lunedì sera riceve privatamente in villa San Martino ad Arcore, accogliente dimora sempre aperta, in particolare, ai simpatizzanti più simpatici al proprietario. Il bergamasco fece il suo ingresso nella domus del Cav. il 30/5/2005, rendicontano le cronache. Più di due anni dopo, il forzista del pedale se ne esce con le seguenti dichiarazioni: «In Italia i giudici tirano fuori dossier vecchi di tre anni, sempre nello stesso periodo, giugno e luglio, per attirare le attenzioni della stampa. E Vinokourov ha fatto bene a dichiarare, prima che partisse il Tour, che Michele Ferrari è il suo preparatore, come lo era di Armstrong e come lo è stato anche del sottoscritto. Perché si tratta di un preparatore eccellente e di una persona molto intelligente». A scanso di equivoci. Si deve ammettere che la lista Savoldelli non solo ha piena legittimità e diritto di cittadinanza nei villaggi di partenza di tutte le maggiori corse nazionali e internazionali. Di più: si deve riconoscere che dalla sua ha pure svariate ragioni, tra l’altro ben argomentate, con l’intelligenza che chiunque attribuisce al professionista dell’Astana, Falco mica per niente. Chiarito poi che non si sa se effettivamente la parte in causa risulti maggioritaria all’interno del gruppo oppure no, se goda quindi della (tacita) maggioranza assoluta o relativa dei consensi, espressi o inespressi dai colleghi del comiziante rovettese: rimane il dato politico, appunto, di una posizione chiara con la quale professionisti dell’anti-doping, difensori della legge e dell’ordine, militanti per un ciclismo riformato e oscuri esponenti di altre fazioni ancora, non possono non confrontarsi una volta per tutte, fermandosi seriamente a discutere, senza credere – a torto – di dover venire a patti con la banda dei disonesti, con l’unione dei dopatoni, con la casa della libertà di delinquere. «E forza Paolo / che siete tantissimi»…

Francesco Vergani
francescovergani@yahoo.it

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