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Marginalità in riunione

di Dominique Antognoni

Pubblicato il 2012-09-25

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Un tot di volte l’anno il direttore di Indiscreto si ammorbidisce senza un vero motivo. All’improvviso tratta bene tutti, ha questi eccessi di generosità democristiani assolutamente inspiegabili, si sgonfia come un soufflè mal riuscito. Ci è quasi venuto un attacco di bile nel leggere come trattasse bene i concorrenti di The Apprentice, variante alla vongole con Briatore nei panni di Donald Trump. Se l’edizione italiana vuole essere una parodia, allora il conduttore e soprattutto i partecipanti sono stati scelti in maniera ideale. Noi che abbiamo guardato The Apprentice sin dalla prima edizione, nel 2004, noi che conosciamo a memoria la gran parte delle puntate (abbiamo perfino visto e rivisto le repliche e le repliche delle repliche, visto che Trump è il nostro idolo), noi possiamo dirlo forte: i partecipanti maschi non sono aspiranti imprenditori, ma sembrano attori che recitano in una telenovela argentina dagli esiti prevedibili. Ad un certo punto abbiamo addirittura pensato fossero studenti di un corso di recitazione a basso costo, di quelli pubblicizzati sulle vetrine dei parrucchieri (insieme ai corsi per giornalisti, non a caso).

Perché non possono essere imprenditori veri: sono gattini che si travestono da gente “cazzuta”, come dice Briatore, ma solo per l’occasione. Fanno decisamente ridere: quel viso corrucciato che secondo loro significa voglia di vincere, quei capelli sempre perfetti (complimenti ai loro coiffeur), i vestiti impeccabili e la barbetta da persona profonda… Insomma, sembrano le brutte copie dei partecipanti statunitensi, molti dei quali fra l’altro con studi importanti alle spalle. Vestirsi bene vuol dire avere gusto (e soldi), non qualità manageriali. Gattini travestiti da leoni, giovani morbidi che mai potrebbero condurre lotte feroci, incapaci che si credono capitani d’industria: sembra una soap opera. Se questi sono i migliori usciti dalla selezione, come saranno quelli scartati? C’è quello che faceva l’Arlecchino al mercato ittico, c’è il saputello pubblicitario, c’è quello con i capelli cotonati, quello che ha studiato fino all’inverosimile la somiglianza con Stefano Gabbana. Il momento più alto delle loro prestazioni é quando fanno i soldati disciplinati e dicono “sì boss”, “ha ragione boss”.

E’ tutto comunque divertente, anche l’equivoco finzione-realtà in questa versione italiana sta benissimo. Perché gente così, che sdottora di marginalità e business plan in una delle quindici pause caffé quotidiane, la si incontra ogni giorno nelle aziende e non solo in televisione. Gente che ha bisogno di discutere quattro ore per decidere dove comprare una mazza da golf spiega meglio di molte inchieste il mito non solo italiano della ‘riunione’, quando l’importante è farsi vedere attivi e non esserlo.

Dominique Antognoni, 25 settembre 2012

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