Malìa, Massimo Ranieri contro l’usa e getta

21 Ottobre 2015 di Paolo Morati

Massimo Ranieri

Può l’ascolto di un disco immergerti completamente in un’altra dimensione ed epoca, suonando moderno e antico allo stesso tempo? Non facciamo fatica ad affermare che Malìa (Napoli 1950-1960), progetto nato dalla collaborazione ormai di lungo corso tra due fuoriclasse della musica italiana come Massimo Ranieri e Mauro Pagani, è un piccolo capolavoro, uno schiaffo all’usa e getta imperante, ancor più perché riveste in una sorprendente chiave jazz brani straordinari della canzone in lingua napoletana con radici nel dopoguerra, in un decennio di ‘rinascita’ dalle influenze americane, e che si apre con Accarezzame (musica del maestro Pino Calvi, testo di Nisa).

Ci sono canzoni più che note, quelle di Renato Carosone – Tu vuò fa l’americano e O’Sarracino – oppure classici già di Peppino Di Capri come Malatia e Nun è peccato (scritte rispettivamente da Ugo Calise e Armando Romeo), o Anema e core, così come chicche quali Doce Doce (Fred Buongusto), Te voglio bene tanto tanto (Renato Rascel) e Ue’ Ue’ che femmena (di Nisa e Ugo Calise portata al successo da Aurelio Fierro). All’ascolto si riconoscono i tratti degli originali, che mantengono per bene il loro andamento ma anche arricchiti, diversi, portando in primo piano non solo le grandi parole (si pensi alla poesia di Luna caprese di Augusto Cesareo su musica di Luigi Ricciardi) e la voce, ma anche le melodie, i suoni di un modo di fare musica e canzone che avvolge tra Na voce, na chitarra e ‘O poco ‘e luna, ma spesso viene messa in secondo piano a favore di dimenticabili stereotipi.

Malìa è un album educativo e affascinante, con Ranieri che canta di fatto con discrezione, rispetto e senza l’istrionismo e i picchi vocali di cui è capace per restituire interpretazioni che permettono ai musicisti di mantenere anch’essi il ruolo di protagonisti: Stefano Di Battista, Rita Marcotulli, Stefano Bagnoli, Enrico Rava e Riccardo Fioravanti, sembra di vederli lì tutti insieme, sul palcoscenico di un piccolo club con i fari soffusi a illuminare gli strumenti. Alla fine dell’ascolto di Malìa, chiuso non a caso da Resta cu’mme (di Domenico Modugno per la musica, su testo di Dino Verde), accendiamo la radio chiedendoci perché non è possibile far girare anche questa vera musica nelle playlist. Forza ragazzi fate un piccolo sforzo, state cinque minuti in ascolto silenzioso. Nun è peccato, eh!

Share this article