Basket
I primi vinti dei playoff di Crudelia
Oscar Eleni 18/05/2018
Oscar Eleni da Osimo, dove un tempo si giocava pure un buon basket, perché dovevamo accendere un cero a San Giuseppe da Copertino che morì in solitudine e non riusciva più a volare. Ci sembra di conoscerlo da sempre. Purtroppo il playoff stile Crudelia, regia di chi ha diretto un bel film come “Non si uccidono così anche i cavalli”, ispira cattivi pensieri. Puoi vincere soltanto se hai di tutto e di più, al momento i fatti dicono questo. Nel 2018 si va avanti con questo passo da Strumtruppen, mentre era il 1969 e Sydney Pollack pensava più a Jane Fonda che ai playoff del basket italiano, invenzione della stagione 1976-77. Da quel tempo, purtroppo, una cosa non è cambiata di sicuro:la brutalità di arrivare all’epilogo con il grande caldo dentro palazzi dove fa sempre un gran freddo soltanto per la vergogna di doverli far vedere a qualche straniero di passaggio, perché di aria condizionata non se ne parla proprio. Playoff con vita breve per chi ci era arrivato facendo grandi sacrifici: economici, fisici e si sa che i muscoli non si muovono bene se la mente non li comanda e trova le motivazioni.
Prima di andare a casa delle squadre eliminate un giro di chiglia brindando ai soliti sognatori per quanto pazzi possano sembrare. Ne trovi alcuni sulle pagine dell’ultimo numero di Basket Magazine. Belle storie, da Brian Sacchetti e Burns, dai giovani di Capobianco a quelle che racconta il prodigioso colonnello Loriga e la storia di Mairano, ex presidente federale, ex di tante belle cose, è stupenda come l’elenco degli azzurri affidati a Van Zandt per le Olimpiadi di Londra finite al 17° posto. Una cura del particulare, tipo la società di Alessandria dove giocava Ezio Mantelli, che i fenomeni del ‘Basket, un altro sport’ neppure si sognano. In quella squadra non fortunata, a Londra l’oro lo vinse Rubini ma giocava a pallanuoto, c’erano dei bei giocatori tipo Rapini, Bersani, Romanutti, Sergio Stefanini, Marinelli, Ferriani, Pellarini, Marietti, ma anche alcuni che sono diventati eccellenti allenatori o quasi: Primo, Tracuzzi, Carlo Cerioni, Nesti e Ranuzzi. Sempre su BM c’è anche la storia di D’Antoni allenatore battezzato al Torchietto quando voleva ancora giocare per Bergamaschi ad Arese. Una storia raccontata bene da Tony Cappellari.
Basterebbero quelle poche righe a far capire la differenza fra un mondo vissuto come si doveva e si poteva e le esagerazioni che senti oggi, dove ci si stupisce per una palla contesa in tuffo ricordando al pubblico con anelli al naso che siamo neiplay off. Si resta sbalorditi davanti alle valutazioni di certe prestazioni, come se non parlassimo delle prime 8 del campionato, certo un torneo svalutato, come se non si vedesse ad occhio nudo la differenza fra chi può sopportare la partita sbagliata di uno dei suoi assi e chi, invece, se viene tradito da uno di questi non ha davvero ricambi. Ma, lo sappiamo, siamo sempre sulla scena di Gogol, del suo Direttore Generale, con troppi furbacchioni come avrebbe poi detto Zampa con Anni Ruggenti, magliaretti che trasportano sempre le stesse 78 vacche da un posto all’altro al passaggio del Federale per far credere che ci sia ricchezza e che non manchino mai le idee anche se poi è acqua calda, sporca. Ma calda, ti diranno.
Torniamo al nostro santo che non volava più, come purtroppo non faranno Cantù, Varese e Cremona. Hanno dato quello che avevano, ma era già scritto, così come non si può essere stupiti se Avellino e Trento continuano a darsele. Erano quarta e quinta, cosa ci aspettavamo? Magari di non vedere Trento vincere ad Avellino, ma per il resto ne discuteremo alla fine. Dicevamo dei playoff con la lagna delle presentazioni sempre uguali, anche per chi avrebbe altri mezzi. Magari la Rai potesse prestare un Edoardo Camurri a chi non fa nessuno sforzo per andare oltre il lacrimatoio degli allenatori prima della partita. Ci sarebbero storie da raccontare tanto per staccarsi dal mercenariato di oggi, ma allora dovrebbero chiamare un Loriga, dovrebbero faticare. In questi palazzi che bruciano alla periferia delle città abbiamo visto consumarsi quello che sembrava scritto anche se tutti, per un senso di giustizia, avevamo dato almeno una vittoria alle eliminate. Non è accaduto. Certo merito di chi le ha sconfitte, ma non sempre. Le pagelle delle squadre uscite dal gioco.
CANTÙ 7: Una stagione che non doveva neppure cominciare, messa in moto con sacrifici poi mal ricompensati, una squadra da motivare dopo aver sentito chi si lamentava per la mancanza del latte. Ci è riuscito Sodini da Viareggio che nelle acciaierie di non so dove mettevano in discussione anche prima della Coppa Italia e del miracolo di Firenze. Per questo è entrato nella terna degli allenatori dell’anno. Arrivare alla fine e scoprire che Smith e Chappell avevano finito la benzina è stato doloroso, così come rendersi conto che Culpepper era bello da vedere, ma spesso impalpabile. Gran campionato per Burns che ora va a Milano.
CREMONA 7: Ricordiamo bene l’inizio stagione quando, per far arrabbiare Sacchetti più del chirurgo che vorrebbe operarlo dopo la caduta in biciletta, chiedevamo a Meo se vedeva in giro una squadra più debole della sua. Da ripescato ha mandato nella rete altri pavoni, si è qualificato per due grandi appuntamenti, ha avuto quello che voleva dai grandi Diener, peccato soltanto che non abbia potuto andare avanti ancora un po’ con Fontecchio. Ai maliziosi che sogghignavano sul miniraduno azzurro all’Acqua Acetosa dal 22 al 26 maggio, come se Meo avesse già considerato la fine della corsa, diciamo che sono dei malvagi a prescindere.
VARESE 7.5: Per il grande girone di ritorno, per il lavoro di Caja anche se adesso sono in tanti ad ammettere che siamo stati tutti ingiusti con De Raffaele in queste due stagioni lussuose della Reyer, comunque vada a finire. Sono mancate le forze, è svanito proprio Okoye nelle volate decisive. Però Varese esce con qualcosa d’importante, ha una base per diventare una squadra che conta come ai bei tempi. Non è, per fortuna, nella situazione della Pesaro dove Valter Scavolini ha detto di non poterne più di questa mediocrità, delle salvezze che non hanno nessuna parentela con gli anni degli spareggi dove la Vuelle aveva un popolo alle spalle.
Lasciamoci così mentre non possiamo più volare e sognare, curiosi di scoprire nel raduno di Azzurra a Roma questo Mattia Palumbo passato dalla Stella Azzurra a Treviglio, nella speranza che Candussi non sia soltanto alto 2.11 e che Polonara abbia trovato una risposta alla sua stagione sassarese, cercando di capire se il Texas di Davide Moretti è davvero l’America che gli serviva.
Chiusura con gli onori che merita Max Menetti ora che si è separato da Reggio Emilia dopo 8 anni di lavoro eccellente.
Mercato dei tecnici in grande fermento. Si aspetta il sì di Trinchieri a Bologna per veder muovere tutte le altre pedine convinti che Sassari abbia fatto una buona pesca offrendo un biennale a Vincenzo Esposito.
Nota per i legaioli storditi dalla confusione creata ad arte da chi non ha arte e non meriterebbe una parte: ci sono società che pensano in grande, pensano a tutto, al futuro. Sassari la prima con la succursale cagliaritana. Brescia ora tenterà di salvare Bergamo. Passi di bimbo, ma almeno ci si muove.