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LennoNYC, la versione di Yoko Ono

Stefano Olivari 20/01/2015

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Yoko Ono è senza dubbio una figura detestata dal fan medio dei Beatles, incurante del fatto che le invidie fra John Lennon, Paul McCartney e George Harrison, pompate anche dai rispettivi entourage, avrebbero chiuso in ogni caso la vita della più famosa band di tutti i tempi. Con il fan del Lennon solista, quindi del Lennon ‘americano’ del decennio 1970-1980, invece si può almeno discutere. E per farlo tanti spunti vengono offerti senz’altro da LennoNYC, il film-documentario di Michael Epstein (prima cosa pensata ‘È il figlio di Brian’, pur sapendo che il manager dei Beatles era gay) che nel 2010 ha provato a dire qualcosa di definitivo sul secondo Lennon, quello meno sfruttato dal circuito delle celebrazioni e delle cover, ma soprattutto quello più adulto e quindi nell’immaginario pop meno ‘vero’.

Il problema è che lo ha fatto, come è evidente dai ringraziamenti e dalla strutturazione delle interviste, sotto dettatura di Yoko Ono e quindi molti aspetti fondamentali della vita del genio di Liverpool sono stati cancellati. Cosa che in un documentario incentrato sul tema ‘uomo Lennon’ è un problema. Il film ha quindi omissioni pesanti: il rapporto con la prima moglie Cynthia, con il primo figlio Julian, con tutto il mondo Beatles (citato di sfuggita solo Paul, per un breve scambio di battute), con la importantissima zia Mimi, con l’Inghilterra, con la droga (anche eroina). Sembra che John Lennon sia nato a New York nel 1970, parente di un John Lennon che qualche anno prima ha avuto un certo successo con un gruppo chiamato Beatles, uno stacco senza senso. Se la scelta di non parlare, se non per pochi secondi, dell’omicidio (e senza nominare l’assassino) è una scelta intelligente, perché Lennon non è stato reso grande dalla morte prematura come invece è avvenuto per tanti altri artisti, non altrettanto si può invece dire dell’azzeramento di tutto il John fuori dal mondo di Yoko.

Detto questo, il film è lo stesso di grande interesse per la mole di materiale privato che mette in campo e per avere spiegato benissimo il rapporto di John con un’America che per lui in sostanza era solo New York (la parentesi californiana viene comunque citata). Un’America fortemente voluta e conquistata dopo una lunghissima lotta con l’ufficio immigrazione e l’FBI. Un’America amata e criticata, con il doping di averla conosciuta presentandosi come popstar mentre invece la sua Liverpool era anche il padre di fatto mai visto, la madre nevrotica che lo aveva affidato alla sorella (la mitica Mimi, icona beatlesiana come poche altre, che più di tutti lo incoraggiò a coltivare il suo talento musicale e che nella sua casa, a Woolton, ospitò le sedute creative di John e Paul anche quando i Beatles erano già diventati i Beatles), le difficoltà a scuola. Questo non toglie che gli anni Settanta di John Lennon siano stati per lui eccezionali, non soltanto come uomo ma anche sotto il profilo creativo: Give peace a chance, Imagine, Jealous Guy, Starting over, Woman e tanto altro, con Yoko donna ideale, persona creativa da conquistare ogni giorno e non groupie adorante, per tirare fuori il meglio da questo John più pacificato con il mondo e meno autoreferenziale. Poi ci saremmo risparmiati l’esaltazione del John casalingo che cucinava per il piccolo Sean e cose del genere, un po’ alla servizio pettinato per ‘Chi’. In definitiva considerando i tanti film e documentari girati su John Lennon questo si colloca nella fascia media: fra i film imperdibile Nowhere Boy, incentrato sull’adolescenza, fra i documentari molto accurato The U.S. vs. John Lennon, che parla della passione politica di John partendo dal periodo inglese e arrivando alle pressioni del mondo vicino a Nixon per rispedirlo a Liverpool. Certo è che ha avuto una vita anche oltre i Beatles. Ma la nostra domanda, un po’ alla Ringo Starr, è sempre la stessa: perché avere una vita oltre i Beatles?

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