L’arte di correre, l’arte di Murakami

8 Gennaio 2016 di Indiscreto

Ci sono in commercio più libri sulla corsa di quanti anche un fanatico possa leggerne nel corso dell’intera vita, ma soltanto quello di Murakami Haruki lascia dentro qualcosa di diverso da tabelle di allenamento, cattiva poesia o, peggio ancora, tirate motivazionali su quanto siano belli il movimento, la fatica, la natura, eccetera. L’arte di correre è la spiegazione personalissima, fatta da un grande scrittore e appassionato maratoneta, del rapporto unico ed esclusivo che ognuno di noi ha con la corsa. Una spiegazione che non ha bisogno… di spiegazioni,  infatti Murakami ha iniziato a oltre trent’anni a correre, senza essere tirato dentro da un amico o avere esigenze particolari.

Il suo libro ha quindi poco dell’autocelebrazione di molti podisti, pur avendo lui partecipato ad alcune delle più famose maratone del mondo, in particolare New York e Boston. Questa raccolta di scritti, fra il 2005 e il 2006, è la storia di un rapporto altalenante, in cui si fondono vari aspetti della personalità in cui tutti noi da dieci chilometri al giorno (a volte nei sogni) ci ritroviamo: senso del dovere auto-imposto, necessità fisica, affinità umana con chi pratica lo stesso sport, più, inutile negarlo, una grande dose di asocialità che in altri ambiti mascheriamo con frasi e facce di circostanza. Caratteristiche che sono anche dello scrittore, fuori dalla retorica del genio maledetto.

Murakami riesce quindi in ogni pagina ad andare al di là del ‘Correre è bello’ alla Linus, anzi certi suoi racconti strappano il ‘Ma chi te lo fa fare?’ anche a chi capisce benissimo che cosa glielo faccia fare. Il racconto della Atene-Maratona corsa da solo nell’estate greca è straziante, anche per alcuni dettagli come i cani morti lungo la strada, così come durissima è la constatazione di non riuscire più a superare se stessi, intorno ai 45 anni. Il vero podista accetta di essere battuto da uno più bravo e se non lo accetta è lo stesso, ma quando tocca il proprio limite si sente invecchiato e finito, in una sorta di lunga anticamera della morte. Si può andare avanti a correre anche ‘dopo’ e Murakami lo ha fatto, ma tutti ci siamo accorti che non è la stessa cosa. E la stessa passione senile di Murakami per il triathlon, con tanto di personal trainer per il nuoto, sembra una fuga in avanti più che una nuova sfida. Sfida a chi? A cosa?

Come in altri suoi libri Murakami, grande conoscitore degli Stati Uniti (dove ha anche insegnato) e assoluto outsider della letteratura (per anni ha gestito un bar, prima di scrivere seriamente e anche di correre), è prodigo di riferimenti pop, soprattutto musicali, ma è in questo Arte di correre che riesce a svelarsi ai suoi lettori forse più che nei romanzi (il ‘forse’ dipende dal fatto che ne abbiamo letti soltanto due, Norwegian Wood e 1Q84) grazie anche alla mancanza di una vera struttura: si tratta di appunti sparsi, senza voler dimostrare alcuna tesi (che infatti non c’è), scritti in un periodo di ritorno di entusiasmo e con la botta dei 45 anni ormai lontana alle spalle. Non è necessario essere d’accordo con tutte le sue idee, come la necessità di un obbiettivo agonistico (personalmente detestiamo l’amatore iper-agonista, le gare vere sono quelle dei giovani), per apprezzare questo raffinato atto d’amore nei confronti di uno sport che è soprattutto disciplina ed educazione, al punto che ci chiediamo come possa avere successo fuori dal Giappone.

Share this article