L’altra Atalanta di Alex Pinardi

Intervista a un grande talento del calcio italiano, amatissimo a Bergamo, Lecce e Modena, che sta studiando da allenatore-dirigente...

21 Giugno 2021 di Gianluca Casiraghi

Regista elegante ed efficace allo stesso tempo, Alex Pinardi detto ‘Il Barone’ da bresciano cresciuto nei ranghi dei cugini dell’Atalanta ha collezionato 462 presenze in 21 stagioni da professionista tra Serie A, B e C, di cui 7 nel massimo campionato, con il discreto bottino di 67 reti. Pinardi nasce a Chiari in provincia di Brescia il 5 settembre 1980 e vive a Urago d’Oglio, sempre in provincia di Brescia, a 7 anni fa già intravedere le sue enormi qualità tecniche giocando con i ragazzi più grandi di 3 o 4 anni. Una stagione soltanto nell’Urago e poi la chiamata di un grande club professionistico, i vicini di casa dell’Atalanta. Iniziamo con lui a rivisitare la sua lunga carriera.

Cosa significa crescere nelle giovanili dell’Atalanta, dal punto di vista umano e da quello calcistico?

Quello atalantino era un ambiente sano e più casereccio rispetto a oggi, la maggior parte di noi arrivava da Bergamo e provincia e da Brescia e provincia, qualcuno dal resto d’Italia, da Napoli per esempio, erano pochissimi gli stranieri, c’era la necessità di costruirsi i calciatori del futuro in casa. Poi gli allenatori erano preparati e piacevoli dal punto di vista umano: la mia fortuna è stata incontrare mister Vavassori dagli Allievi in poi. Con lui sono stato vice campione Allievi, ho vinto lo scudetto Primavera e due Coppa Italia di categoria. Era un’annata d’oro, i miei compagni si chiamavano Gianpaolo Bellini, Corrado Colombo, Cesare Natali, Ivan Pelizzoli, Fausto Rossini, i gemelli Cristian e Damiano Zenoni, quasi tutti lombardi, solo Rossini era toscano. Altro colpo di fortuna fu la promozione in prima squadra di Vavassori, subito vincemmo il campionato di B con una formazione infarcita dei talenti del settore giovanile, a cui seguirono 3 anni di fila in Serie A, la retrocessione in B, il trionfo con Mandorlini in B con 8 gol e qualche presenza da capitano. Avevo altri anni di contratto ma avevo bisogno di stimoli dopo 16 anni in nerazzurro, così fui ceduto al Lecce e il destino volle che la prima partita in calendario fosse proprio Atalanta-Lecce, grande festa con i tifosi atalantini sotto la curva e il regalo del bottiglione, in campo finì 2-2 e un assist per me.

Chi erano a livello giovanile i compagni che ti sembravano più forti?

Fare un solo nome è difficile, ora da responsabile delle giovanili capisco che c’erano alcuni giocatori anche più forti di me, la differenza la fa l’abnegazione e alcuni che avevano più talento di tutti poi sono finiti a giocare in B o in C senza mai vedere la A. C’era una qualità più alta rispetto ai giorni odierni, questo però è certo.

Tu nell’Atalanta hai giocato anche diverse stagioni in Serie A, in cosa era diversa l’Atalanta di allora da quella europea di adesso?

Il livello si è alzato ulteriormente: la mia era una società media, la regina delle provinciali, facevi qualche anno di A, magari retrocedevi in B e poi tornavi su subito o quasi. Adesso c’è più continuità e il modo diverso di giocare proposto da Gasperini, con aggressività e dominio del campo; inoltre, giocatori come Muriel, Ilicic e Zapata sarebbero titolari nelle grandi squadre classiche. Dico così perché adesso anche l’Atalanta è una grande.

Una domanda di campanile: ha un significato particolare per un bresciano affermarsi nelle giovanili dei rivali storici dell’Atalanta?

È una domanda che mi hanno fatto spesso, sono sempre stato doppiamente felice per l’attaccamento dei tifosi bergamaschi alla squadra, non ho mai avuto problemi con un tifoso bergamasco o bresciano per questioni di campanile, mi sono sempre comportato bene e ho accettato gli sfottò classici. Ho giocato a Bergamo ma sono bresciano di nascita e residenza e vado fierissimo di questo mix di origini calcistiche e non.

Per diversi anni sei stato considerato il talento futuro del calcio italiano, hai anche giocato nell’Under 21 e hai avuto un’ottima carriera, con 7 stagioni in Serie A: sei soddisfatto o avresti potuto fare di più?

Sono soddisfattissimo e senza rimpianti per la mia vita da calciatore. C’è un particolare che mi ha condizionato dopo le due stagioni nel Lecce; avevo un figlio con qualche problema, doveva nascere il secondo e poteva esserci una complicanza genetica, così ho scelto di stare sempre vicino a casa, infatti entrambi i miei figli sono nati a Bergamo. Mi volevano tutti in Serie A e sono andato a Modena in B. Quattro anni uno più bello dell’altro, a Modena i tifosi mi portano in palmo di mano, sono stato capitano per quattro anni e mi trovavo a meraviglia con il presidente Romano Amadei e lo sponsor Romano Sghedoni. Cambiati i vertici ho deciso di trasferirmi a Cagliari e rigiocare in Serie A; non potevo andare d’accordo con questa nuova proprietà, non voleva il bene del Modena e insieme a Caliendo l’hanno fatto fallire.

Come mai una grande tradizionale, tipo Juventus o Inter, non ha mai dato una chance a Pinardi?

Ho avuto una richiesta dalla Roma nella stagione 2000-2001 quando ero a Bergamo, con l’Atalanta la eliminammo in Coppa Italia vincendo 4-2 anche grazie a un mio gol e da quella sconfitta cominciò la loro riscossa che li portò a vincere lo scudetto. Offrirono 5 miliardi per la metà, lasciandomi ancora un anno o due a Bergamo, per Atalanta era una cifra troppo bassa e non se ne fece nulla. In quella stagione ho avuto anche una pre convocazione in Nazionale di Trapattoni dopo un 1-1 con la Juventus con un mio gol.

Gli allenatori con cui ti sei trovato meglio in carriera?

Tanti, Vavassori a livello umano, Mandorlini, Finardi anche se l’ho avuto solo 5 mesi, Bisoli al Cagliari, Tesser al Novara con il successo in B e la promozione in A dopo 55 anni di attesa, Gigi Cagni al Vicenza, Scienza alla Feralpi Salò che mi ha spostato in mediana allungandomi la carriera, Cesare Albè alla Giana.. Tutti questi mister mi hanno dato qualcosa, tecnicamente, tatticamente e umanamente che mi è servito da calciatore e mi serve adesso da dirigente e forse futuro allenatore.

Com’è lavorare con Zeman?

Dal punto di vista calcistico si conoscono le sue conoscenze e abilità, e io giocando allora in una posizione avanzata ne ho avuto vantaggi, ma voglio sottolineare anche l’aspetto umano, la sua ironia e simpatia. Esigente in campo, eccessivo se vogliamo, perché doveva portare avanti il personaggio Zeman .

Con quali compagni nella tua carriera puoi dire di essere amico?

Con Bellini, lo storico capitano dell’Atlanta, che è stato il mio testimone, con Sasà Bruno con me al Modena e alla Giana, con Sergio Viotti portiere ai tempi sempre della Giana e bresciano come me.

Il giocatore più forte che hai incontrato?

Roberto Baggio, Zidane e Ronaldo il Fenomeno, a cui ho visto fare cose che ti riconciliano con il calcio. Di Baggio mi ricordo ancora il gol in pallonetto contro l’Atalanta a Brescia. Tra i miei compagni il più forte è stato Vucinic, aveva delle intuizioni non umane.

Il più grande pregio e il più grande difetto del Pinardi calciatore?

Difetto, quando ero più giovane avrei dovuto essere più diplomatico, meno diretto, nelle dichiarazioni e nei comportamenti, cosa che ritengo sia anche un pregio; facendo così nella mia carriera non ho dovuto rendere conto a nessuno, però con il senno di poi avrei potuto dire alcune cose in modo diverso, più soft.

Il tuo soprannome è ‘Barone’, lo condividi con due stelle del calcio italiano e mondiale, Nils Liedholm e Franco Causio, da dove nasce?

Molto semplice, mi è stato dato per la mia eleganza in campo e mi è rimasto con piacere, visto anche il calibro dei due che l’hanno portato prima di me nel calcio italiano.

Nel presente e nel futuro quali sono i tuoi obiettivi?

Dalla scorsa estate sono il responsabile del settore giovanile della Feralpi Salò in Serie C, mi sta piacendo, credo di stare facendo un buon lavoro, ho un altro anno di contratto e spero di continuare la mia opera. La Feralpi Salò è una società solida, i dirigenti mi lasciano lavorare con tranquillità; abbiamo deciso di ringiovanire tutte le squadre, siamo stati promossi nel campionato Primavera 3 facendo esordire addirittura dei giocatori classe 2005 e con l’Under 17 disputeremo le finali nazionali. A gennaio 2022 parteciperò al corso per responsabile del settore giovanile e a giugno 2022 a quello per ottenere il patentino di allenatore Uefa A. È mia intenzione fare altri 3/4 anni di esperienza nel settore giovanile e poi tentare il grande salto in una Prima squadra, con quale ruolo si vedrà.

Gianluca Casiraghi è nato a Gorgonzola, in provincia di Milano, nel 1971. Giornalista pubblicista dal 2001, ha scritto di calcio e atletica leggera per la Gazzetta della Martesana, occupandosi anche di cronaca, fino al 2016. Dal 2005 al 2012 ha seguito la pallacanestro per l’agenzia Italpress. Dal 2013 scrive di calcio per Sprint & Sport e per varie varie testate locali del gruppo Netweek (Giornale di Vimercate, Monza, Carate, Lecco, Merate), dalla Serie C alla Terza categoria, dai campionati giovanili a quelli femminili.
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