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Interviste

L’arte di arrangiare, il segreto di Fio Zanotti

Paolo Morati 15/11/2022

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“Ogni volta che si affronta un nuovo brano è come trovarsi all’inizio della carriera. È come se fosse sempre la prima volta. E possono essere cose immediate o che richiedono molto tempo. Proprio ieri sera ho finito un brano per una grandissima artista, un lavoro durato quasi dieci anni… ” Così il maestro Fio Zanotti ci ha raccontato in una lunga intervista la sua carriera di arrangiatore che, affiancata a quella di compositore, produttore, direttore d’orchestra e musicista, ha attraversato più decenni di successi della musica italiana proseguendo ancora oggi con progetti molto importanti. Con, nel mezzo, anche la passione per il calcio…

Quanto è importante l’arrangiamento per il successo di un brano?
L’arrangiamento contribuisce all’invenzione di un brano, stabilisce gli strumenti che devono essere utilizzati e il loro movimento nell’insieme generale, per completarlo. Di fatto l’arrangiamento, a differenza dell’accompagnamento, può rendere bello un pezzo mediocre e viceversa rovinare un capolavoro. Si tratta quindi di un lavoro molto delicato che a volte non parte prima che l’opera sia terminata a livello compositivo. Faccio qualche esempio. Uno dei primi brani su cui ho lavorato è stato nel 1981 Cicale, cantato da Heather Parisi. Ho scritto alcune parti, tra le quali l’introduzione, prima del vero e proprio inizio, e quella centrale strumentale utile al balletto di Fantastico e soprattutto per completarlo al meglio. Nel 1989 intervenni invece su Ti lascerò, poi vincitrice di Sanremo, di Anna Oxa e Fausto Leali, al quale secondo me mancava l’introduzione che era determinante per far partire la canzone e, alla fine, le voci che la chiudevano. È stato un lavoro molto difficile per poter dare a questo brano e agli artisti che lo cantavano la magia meritata. L’anno dopo sempre Anna Oxa partecipò al Festival con Donna con te. In origine mancavano alcune parti come ad esempio quella a tre quarti del brano. Lì volevo introdurre un ponte musicale importante, ed ecco che lo trovai per poi andare all’inciso finale, con il ripetuto “Perché donna io con te sarò…”. Nel 1993 arrangiai Uomini addosso per Milva, brano scritto da Roby Facchinetti e Valerio Negrini, con l’idea nata a casa mia mentre suonavo la fisarmonica. Nel 1995 invece collaborai con Spagna che aveva da poco scelto di cantare in italiano, portando a Sanremo Gente come noi. Inizialmente era un brano veloce e sentendolo mi venne un’idea, partendo dall’andamento della colonna sonora del film 1997 Fuga da New York, e inserendo una frase iniziale più lenta che creava la tensione giusta. Terzo posto in un’edizione difficilissima vinta da Giorgia seguita dal duo Gianni Morandi e Barbara Cola, e con in gara anche Fiorello e Andrea Bocelli. Insomma, tutti dettagli importanti per brani ricordati ancora oggi, perché un pezzo deve necessariamente iniziare bene e finire meglio. Questi sono alcuni esempi di tante situazioni affrontate nel corso della mia carriera.

A proposito di ‘finire meglio’, ricordo che per un certo periodo si usava molto sfumare le canzoni… il cosiddetto fade out.
È qualcosa che ho sempre odiato perché significava che non si era trovata l’idea giusta per chiudere al meglio una canzone, lasciandola di fatto incompiuta. Ci sono mille casi in cui mi sono scontrato con l’artista che voleva sfumare. Bisogna invece essere umili e insistere per trovare la situazione musicale più idonea.

Nel dettaglio, come si arrangia un brano musicale?
Fondamentale è trovare il giusto groove. Faccio l’esempio di un brano rythm and blues. Tutto parte dalla ritmica, quindi basso e batteria, seguendo la linea melodica del canto. A questo punto si aggiungono le chitarre e quindi i fiati e, se possibile, anche l’orchestra, creando i giusti incastri tra accordi e linea melodica. Gli archi vanno scritti come tali e non come ‘tastiere’ e questo lavoro richiede molta attenzione, con il movimento delle parti corrette per arrivare infine all’armonia perfetta. Vanno evitati errori come può essere l’uso scorretto di quinte o ottave mentre si possono creare delle magie usando, ad esempio, il moto contrario. Il grande segreto è mantenere sempre la voce al centro della scena senza coprirne le frequenze bensì aiutandola ad emergere. Una volta compiuto l’arrangiamento con la parte melodica si passa a plasmare e puntualizzare alcune battute che non hanno ancora ricevuto ciò che meritano. Ad esempio nel finale del pezzo che ho appena concluso ho inserito il suono di un timpano, completandolo. Oggi capita spesso di non usare l’orchestra sostituendola con campionamenti straordinari che danno modernità al brano, ma vanno valutati da caso a caso.

Abbiamo già citato diversi brani molto noti. Partiamo dagli inizi. In quale modo Fio Zanotti ha incontrato la musica?
Da bambino, nei primi Anni 50 a Bologna, ero sempre attaccato alla radio battendo il piedino. Impazzivo per le esibizioni delle orchestre dirette da maestri come Cinico Angelini o Gino Mescoli. Ecco che per i miei 4 anni ricevetti un’armonica in regalo da mio nonno Callisto. In pochissimi minuti ero già a suonare a orecchio le melodie che sentivo, stupendo tutti. L’anno dopo sempre il nonno mi regalò una fisarmonica. Una Paolo Soprani 48 bassi, verde smeraldo come la mia macchina attuale. Stessa scena accaduta con l’armonica. Ecco che vicino al podere di mio nonno si esibiva il gruppo di Leonildo Marcheselli che, sentendomi suonare, mi prese come allievo trasmettendomi le prime nozioni di teoria musicale. Di fatto mi definivano un ‘bimbo prodigio’, cosa che in realtà non gradivo molto: mi sentivo un fenomeno da baraccone, una sorta di juke box che si esibiva su richiesta, con tanto di manifesto da appendere ai muri, quando invece avrei voluto essere libero. Crescendo però la musica non poteva essere più la mia attività principale visto che a 10 anni iniziai a lavorare nel garage di mio padre.

Dal palco alle auto insomma…
Esatto. Mio padre non riteneva la musica un’attività con un futuro e voleva che lavorassi con lui. Dovevo lavare i veicoli. Per un decennio credo di averne lavati circa 36000… senza però abbandonare mai lo spartito che avrebbe poi caratterizzato tutta la mia vita. Ecco che un nostro collaboratore era fan dei Judas, la band che all’epoca era considerata rivale dei Pooh dove invece avrebbe poi militato Dodi Battaglia, mio fraterno amico fin da bambino condividendo la passione per la fisarmonica. I Judas mi proposero di suonare l’organo Hammond portato nel garage, lo imparai e superai il provino, dopo aver passato le notti a esercitarmi mentre di giorno continuavo a lavorare con mio padre. Con un altro problema. Ero anche bravino a calcio, giocavo in Promozione, nella Tranvieri. Per cui il sabato sera suonavo sul palco e la domenica mattina ero sul campo. Le due cose non erano conciliabili per cui, una volta sostituito, dovetti abbandonare momentaneamente lo sport per dedicarmi interamente alla musica. Anche grazie a un avvenimento fondamentale.

Quale?
Il servizio militare, in aeronautica, a Rimini. Non avendomi più come supporto mio padre dovette affittare il garage mentre io respirai l’aria della riviera dove fui notato dal jazzista Jimmy Villotti, al quale debbo tantissimo che, finita la leva, mi inserì nel suo gruppo. Eravamo l’orchestra di base all’Altromondo di Rimini, dove suonavano tutti i gruppi più importanti. Dal Banco del Mutuo Soccorso ai New Trolls ai Pooh alla Formula 3 con Lucio Battisti. Proprio con Lucio mi ritrovavo con le mani sul pianoforte mentre lui si scatenava alla batteria, che adorava. E proprio in quel periodo decisi che avrei dovuto studiare musica più seriamente, altrimenti avrebbe avuto ragione mio padre: sarei tornato a fare il lavamacchine. A 21 anni entrai al Conservatorio Giovan Battista Martini di Bologna, suonando giorno e notte e dedicandomi agli studi di armonia, contrappunto, orchestrazione. Avevamo una big band diretta dal maestro Ettore Ballotta mentre gli studi di armonia e contrappunto li facevo con il maestro Giordano Noferini. I primi 4 anni furono durissimi, dovevo anche mantenere la famiglia. Poi improvvisamente mi trovai a realizzare il mio primo arrangiamento per big band. E piacque. Ne seguirono quindi altri finché il maestro Ballotta mi disse che avrei potuto iniziare veramente a lavorare augurandomi di fare “buona musica”. Nella realtà ho comunque sempre continuato a studiare per far progredire la mia cultura musicale.

Qual è stato il primo arrangiamento da professionista?
Fu l’arrangiamento della sigla del Motorshow di Bologna registrato con la big band negli Umbi Studios di Modena. Proprio mentre ero lì, nel 1979, passarono Silvio Testi e Franco Miseria che stavano lavorando alla prima edizione di Fantastico, lo show del sabato sera della prima rete della RAI. Mi offrirono di lavorare alla sigla, Disco Bambina, di Heather Parisi. Subito in testa alle classifiche. Nel mentre andai in tour con Loredana Bertè con la quale ho poi fatto diversi album. Per me è la più grande rockstar italiana, abbiamo partecipato insieme a più Sanremo. Lei mi portò da sua sorella, Mia Martini, Mimì, una delle più grandi avventure musicali vissute, artista straordinaria che ricordo tutti i giorni. Lavorai con tutte e due al singolo Stiamo come stiamo e con Mimì realizzai il suo ultimo album, La musica che mi gira intorno, del 1994. Grazie a loro conobbi Renato Zero con cui feci La curva dell’angelo nel 2001, altro disco fondamentale per la mia carriera. È inutile spendere parole di elogio su un artista come lui. Tornando a Disco bambina, da lì seguì poi la già citata Cicale, altro grande successo. Il tour successivo lo feci con Gianni Togni, oggi altro mio fraterno amico. Grazie a quel tour mi feci notare dall’allora direttore generale della CGD Sandro Delor il quale credette in me come arrangiatore per il futuro. Successivamente Sergio Bardotti, altra persona fondamentale per la mia carriera, già incontrato in passato attraverso i New Trolls, mi propose di affiancare Umberto Bindi per l’album D’ora in poi del 1982. Lo stesso anno contribuii anche all’album Mari del Sud di Sergio Endrigo, suonando tra l’altro le tastiere e dirigendo l’orchestra. Per poi arrivare al 1983 e all’album Uomini di Ornella Vanoni, conoscendo in quell’occasione Gerry Mulligan, grande sassofonista oltre che persona di enorme bravura e preparazione, ma anche umiltà. Per quel disco registrò infatti otto soli lasciando a me la scelta di quale usare.


Insomma negli stessi anni le esperienze passarono dalla musica pop a quella d’autore, e viceversa…
Esatto. E tutto avvenne rapidamente e improvvisamente, anche in modo inaspettato. Nel 1984 Freddy Naggiar mi propose un contratto di due anni in esclusiva con la sua etichetta Baby Records, sfidandomi. Mi disse che con lui se valevo veramente sarei arrivato al top, altrimenti sarei morto artisticamente… Naggiar all’epoca aveva portato in cima alle classifiche tanti artisti. Tra questi c’erano i Ricchi e Poveri. Ecco che in un giorno solo realizzai gli arrangiamenti di Voulez vous danser, poi diventato un grande successo anche all’estero. L’anno dopo dopo vincemmo Sanremo con Se m’innamoro.

Come si svolgeva il rapporto tra musicista e discografico?
Posso dire che Naggiar è stato probabilmente uno dei più grandi discografici con cui abbia mai lavorato e che, pur non essendo un musicista, aveva intuizioni che andavano recepite e quindi trasformate in suono. Se diceva che voleva dei bassi alti significava che desiderava un suono più ficcante, e aveva ragione. Del resto a volte le cose accadono anche in modo inaspettato. Nel 1987 ad esempio nacque per caso un brano italo disco di grande successo, Catch the fox di Den Harrow. Accadde quando, dopo tante ore di lavoro in studio, mi misi al pianoforte suonando Bach, Mozart, Beethoven e Bartók, quest’ultimo una mia grande passione. Quindi iniziai a improvvisare immaginando un brano che avrebbe potuto comporre lui. In studio c’era Roberto Turatti che mi chiese di registrare ciò che stavo improvvisando. Presi un registratore regalatomi da Loredana Bertè, che conservo ancora, e registrai quei minuti. Turatti il giorno dopo propose la cosa a Naggiar e nacque un pezzo inizialmente giudicato difficile, suonato tra l’altro con una batteria vera, quella di Lele Melotti, uno dei migliori batteristi esistenti. Melotti che, tra parentesi, era anche parte della sessione ritmica degli Umbi Studios insieme a Paolo Gianolio (chitarre) e Davide Romani (basso), oggi musicisti di fama internazionale, e me medesimo al piano, tastiere e ovviamente arrangiamenti. Ecco che se quel giorno non ci fosse stato Turatti Catch the fox non sarebbe mai nata, come succede tante volte quando si registrano appunti che poi non vengono più ripresi. Io ne ho il telefono pieno. Una volta mi è invece accaduto di finire un brano senza poi poterlo pubblicare. Incredibile ma vero, dall’altra parte del pianeta un altro compositore aveva avuto l’idea identica alla mia. Era un brano di Ellie Goulding, senza esserci mai conosciuti. Essendo uscito prima del mio ho lasciato perdere e non l’ho pubblicato. Tornando agli Anni 80, nel frattempo, pur essendo sotto contratto con Naggiar, questi mi permise di lavorare anche con tanti altri artisti tra i quali i Pooh.

Approfondiamo questa collaborazione…
Negli Anni 70 gli arrangiamenti dei Pooh erano stati curati dal grande Giancarlo Monaldi. Nel 1985 lavorai al primo album solista, Più in alto che c’è, di Dodi Battaglia, per me uno dei migliori chitarristi a livello mondiale. Quindi, l’anno successivo, mi venne proposto di lavorare all’album dei Pooh che avrebbe poi preso il titolo Giorni infiniti. Da quella esperienza partì una vera e propria avventura con persone che considero fratelli oltre che grandissimi musicisti. Sento molto la mancanza di Valerio Negrini e Stefano D’Orazio. Valerio quando mi sposai mi scrisse una poesia in cui si legge “Claudia ha detto sì e Fio ha risposto si bemolle…”. Con i Pooh feci anche un tour come seconda tastiera e tanti altri album. Negli stessi anni collaborai con Francesco De Gregori per l’album Mira Mare 19.4.89, con Fiorella Mannoia per Le notti di maggio, I treni a vapore, e con la già citata Anna Oxa, altra grandissima artista. Oltre a Ti lascerò e Donna con te, per lei ho arrangiato diversi album, a cominciare da Pensami per te che, realizzato con Piero Cassano, ulteriore personaggio fondamentale per la mia carriera, contiene Quando nasce un amore. Una canzone molto particolare che necessitava di assoluta libertà, senza ‘click’, in studio tutta suonata dal vivo con l’orchestra per la quale scrissi le partiture d’archi, una delle mie passioni tanto che ero stato battezzato ‘Il terrore dei fonici’ dall’ingegnere del suono Pino Pinaxa che, insieme a Renato Cantele, è uno dei due migliori fonici mai conosciuti. E ancora, sempre con Anna Oxa, l’album Tutti i brividi del mondo del 1989 con alcuni brani scritti dai New Trolls e, dieci anni dopo, Senza pietà con l’omonimo brano che vinse Sanremo.

Come nacque invece la collaborazione con Celentano?
Mi telefonò Claudia Mori invitandomi a incontrarli. Appena arrivai a Milano lui mi salutò così: “Ciao Zanolli…”. Entrammo subito in sintonia, e nacque una grande amicizia con una persona straordinaria e artista unico. Il primo disco fu Arrivano gli uomini del 1996, che registrò un buon successo, nell’ordine di alcune centinaia di migliaia di copie. Un paio di anni dopo Claudia mi chiese se volevo lavorare con Mogol e Gianni Bella al nuovo album di Adriano. Viste le premesse e i nomi in gioco, ovviamente toccai il cielo con un dito. Mi vennero recapitati i provini, in finto inglese, tra cui quello che sarebbe poi diventato L’emozione non ha voce. Ragionai su una ‘cavata’ al piano, per tre giorni, lavorando su millesimi di secondo per trovare il beat che avevo in testa, producendo l’arrangiamento e chiedendo a Mogol di inviarmi il testo. Il lavoro piacque e la stessa cosa accadde per L’Arcobaleno. E così via. Con un aneddoto particolare.

Raccontiamolo…
Una notte sognai Adriano che rideva come un pazzo e Lucio Battisti che mi tirava i piedi raccomandandoci di fare buona musica. Il giorno dopo avevo 39 di febbre, provai il brano con la mia voce roca per i malanni, lo inviai ad Adriano che lo cantò alla prima. Mi chiamò appena finito il canto e io lo ascoltai per telefono. Fu una grande emozione. E ancora, una volta in studio con Michael Thompson, il chitarrista, percepivo che mancava una virgola a L’emozione non ha voce. Lui stava accordando la chitarra, chiesi al fonico di creare otto battute vuote all’inizio, e a Michael di suonare l’introduzione che mi era venuta in mente in quell’istante e che si sente nel brano. Il resto è storia per un disco che ha venduto milioni di copie, con tanto di scommessa di un pranzo tra me e Adriano se avessimo superato le duecentomila copie, e legato anche alla trasmissione Francamente me ne infischio a cui partecipai, suonando e dirigendo l’orchestra. Da quel lavoro sono seguiti altri dischi storici, a partire da Esco di rado e parlo ancora meno, facendo anche altri due programmi di grande successo, divertendomi come un pazzo. In tutte queste occasioni si è confermato un artista incredibile. Insomma, la mia è una storia di tante collaborazioni e progetti compreso l’inno delle Olimpiadi del 2006 di Torino per il quale ho avuto l’onore di lavorare con un altro grandissimo artista, Claudio Baglioni, registrato con un coro di 40 persone più una grande orchestra. Anche in quella occasione ho avuto un’emozione importante lavorando a fianco di Claudio che, secondo me, è uno dei migliori compositori così come cantanti esistenti. Due anni dopo scrissi la musica di Canto del sole inesauribile con testo di Giovanni Paolo II, interpretato da Placido Domingo e Andrea Bocelli.

C’è anche l’esperienza in una band chiamata Adelmo e i Suoi Sorapis con tanto di album uscito nel 1993. Quali furono le origini di questo progetto?
Facciamo un passo indietro fino al 1985. Ero in studio con il già citato Gianni Togni, con il quale ho nel tempo realizzato diversi album. Era l’epoca di Giulia, grande successo, e Mogol mi chiese di occuparmi di Zucchero Fornaciari, che aveva già partecipato a Sanremo e stava lavorando al nuovo disco di cui esistevano i provini registrati negli Stati Uniti insieme a Corrado Rustici e Randy Jackson. Sentiti brani come Donne e Un piccolo aiuto ne capii il potenziale e finalizzammo il lavoro a Milano sull’album poi chiamato Zucchero & The Randy Jackson Band. Arrivando ai Sorapis, tutto nacque nel 1989 dall’idea di creare un’orchestra da ballo che si sarebbe poi esibita a Capodanno a Cortina. Un’orchestra di cui facevamo parte io, Zucchero, Umbi Maggi, Dodi Battaglia, Maurizio Vandelli e Michele Torpedine. L’anno dopo, mentre stavo lavorando con Fiordaliso sul pezzo Il mare più grande che c’è che avrebbe poi partecipato a Sanremo, arrivai a Cortina in fretta e furia, trovando posto solo alla pensione Sorapis, dal nome dell’omonima montagna. Da lì suggerii questo nome come band che divenne poi, su richiesta di Zucchero, Adelmo e i suoi Sorapis. Il disco fu successivamente registrato negli Umbi Studios, in presa diretta per nove ore di lavoro. Penso uno degli album più veloci del mondo. L’idea fu di Zucchero che voleva preparare un brano natalizio. All’inizio per i provini c’eravamo solo io, lui e Maurizio Vandelli. Dodi Battaglia era in America. Partimmo dal singolo E così viene Natale finendo poi per scrivere nove pezzi. Chiesi a un altro grandissimo ingegnere del suono, Maurizio Maggi, di registrare il tutto su due tracce per potermi ricordare ciò che stava avvenendo ossia la genesi del disco, poi intitolato Walzer d’un Blues. A seguire facemmo un mini tour di sei concerti nei club comprese una tappa a Betlemme vicino alla grotta della natività e una sulla spiaggia di Malindi, ma anche al Piper di Roma e all’Osteria della Chiesa a Bologna. Una storia incredibile e non escludo che in futuro non possa accadere qualcosa di nuovo.

A proposito di Gianni Togni, tempo fa in un’intervista mi raccontò di come preferiva produrre in analogico…
Io penso che se un pezzo è forte funzionerà comunque che sia prodotto in analogico o digitale. Se da un lato si può parlare di un discorso tecnico, dall’altro il ruolo dell’arrangiamento non cambia. Io stesso ho dovuto prendere confidenza nel tempo con i software e i computer, tanto che all’inizio mi affidavo a un esperto mentre oggi opero direttamente da solo senza per questo cambiare il mio modo di lavorare o rinunciare a strumenti come ad esempio l’organo Hammond C3 appena acquistato, compreso il suo Leslie originale, in legno. Detto questo, è vero che oggi si fa un uso esagerato di certi effetti, con risultati a volte imbarazzanti, perché la tecnologia può rivelarsi un’arma a doppio taglio. In genere non ho problemi a fare un mix tra le due cose, anche sui progetti più recenti in cui sono coinvolto compresi musical e colonne sonore. Dopodiché vorrei anche riposarmi e riprendere a giocare a calcio…

Chiudiamo con quest’ultima passione allora…
Sono tifoso del Bologna, come Gianni Morandi con il quale spesso ci troviamo a discutere di calcio. Il mio grande idolo è stato Giacomo Bulgarelli, grande bandiera e uomo, rimasto fedele ai colori rossoblu senza cedere alle sirene delle altre squadre. Un campione del quale sono poi diventato amico, così come con Marino Perani, Ezio Pascutti, Mirco Pavinato, Romano Fogli e tutti gli altri campioni. Detto questo, ammetto di cavarmela anch’io piuttosto bene con i piedi, e su Internet si trovano anche alcuni miei gol. Faccio ancora parte della Nazionale Cantanti dove il più dotato è sempre stato Luca Barbarossa, bravissimo anche a tennis. Bene Eros Ramazzotti, pure lui ottimo giocatore. Ho giocato anche a casa di Zucchero, insieme a Roberto Baggio. In quell’occasione marcavo Michael Schumacher, che correva più forte a piedi che in macchina. Un’esperienza meravigliosa passare la palla a Baggio e riceverla da lui. Ancora oggi milito in una squadra di ex giocatori del Bologna, che si chiama Bologna Veterani, e infine negli Old Boys, con i quali ci ritroviamo ogni settimana nel club Serena 80 dove, dopo la partita di calcio al campo Savena, ci ritroviamo a banchettare con tutti gli sfottò del caso. Casi della vita, lì sono nati proprio i Judas. Insomma un cerchio che continua a chiudersi e riaprirsi. Con il segreto vero del successo che è, in tutti i casi, quello di lavorare sempre duramente.

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